Oxford Murders - Teorema di un delitto PDF 
Pietro Salvatori   

ImageL’annoso conflitto tra il caso e la previsione, tra l’indeterminatezza e la certezza, tra l’esaltazione del relativismo e la certezza di una verità. Un conflitto che porta a rimescolare le carte, che porge la vittoria dialettica su un piatto d’argento, salvo poi bizzarramente sottrarla all’improvviso e consegnarla al proprio avversario. A sfidarsi sullo schermo sono Martin, un giovane studente di filosofia sbarcato ad Oxford dagli States, con il pallino della logica e della matematica, convinto che dietro ad ogni aspetto della natura ci sia una spiegazione precisa e razionale, e Arthur Seldom, eccentrico professore del prestigioso ateneo inglese, convinto sostenitore dell’impossibilità di risalire ad una verità certa per qualsivoglia fenomeno della realtà, affabulatore e istrione, motivo vero del trasferimento di Martin nella vecchia Europa.

Materia succulenta per l’affermato regista spagnolo Álex de la Iglesia, laureato proprio in filosofia nell’iberica università di Deusto, che è rimasto immediatamente affascinato dalla sceneggiatura di Jorge Guerriechevarría, tanto da volerci mettere personalmente mano e da costruirci un affascinante noir psicologico. Maniacale l’attenzione alla messa in scena, supportata da un magistrale John Hurt, che conferisce alla pellicola una buona parte del carisma del quale si può fregiare, coadiuvato da Elajah Wood che, restituito al ruolo di comprimario che gli si addice, riesce a completare un cast di assoluto rispetto. Più che sui delitti cui fa riferimento il titolo, più che sulla serialità di un misterioso assassino, l’attenzione di de la Iglesia si focalizza sul confronto intellettuale, ancor prima che generazionale, fra i due personaggi. L’indeterminazione di Wittgenstein e il suo Tractatus Logico-Philosophicus, l’eterna disputa su ciò di cui si può avere certezza assoluta e quel che rimane avvolto in un’ombra di incertezza, la teoria del caos, il determinismo più o meno fatalista. Questo è ciò di cui parla il regista spagnolo, attraverso un confronto serrato che si dipana tra assassini misteriosi, quiz logici e seriali, vecchie case e alte mura, “l’unica cosa presente in questa città”, per citare uno dei personaggi. Tutto inizia e finisce, si slancia e muore nella celebre frase del filosofo della scuola di Vienna: “Tutto ciò che si può dire lo si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Di qui, un pericoloso gioco a incastri, dove la realtà si riflette nella parola e la parola plasma la realtà a proprio piacimento. Un interesse filologico e filosofico che costituisce il principale motivo di interesse del film, che alterna sequenze suggestive a momenti meno riusciti, non riuscendo a tratti ad evitare di cadere in un didascalismo abbastanza scolastico, offrendo spunti e costruendo scene spesso enfatiche e superflue.

Il difetto principale è proprio quello di non riuscire a lavorare per sottrazione, inserendo sempre quella battuta in più o in meno, quell’immagine atta ad offrire su un piatto d’argento una comoda spiegazione allo spettatore. Nonostante ciò, de la Iglesia riesce a rendere interessante un soggetto che nelle mani di un altro, probabilmente, non avrebbe mantenuto quell’alone ricco di un fascino maledetto del quale è invece ammantato Oxford Murders, che, al netto di quel fastidioso voler condurre per mano il proprio pubblico verso ogni piega nascosta del girato, parla di vita, di morte, di ragione e di follia con un garbo raro, e con uno charme non comune.

TITOLO ORIGINALE: The Oxford Murders; REGIA: Álex de la Iglesias; SCENEGGIATURA: Jorge Guerricaechevarría, Álex de la Iglesias; FOTOGRAFIA: Kiko de la Rica; MONTAGGIO: Alejandro Lázaro, Cristina Pastor; MUSICA: Roque Baños; PRODUZIONE: Spagna/Francia; ANNO: 2008; DURATA: 107 min.

 


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