Conoscete il detto Chi la fa la spetti? E quest'altro Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio ? In tal caso se ciò che cercate è una conferma al quesito o semplicemente una delle sue infinte e discutibili risposte allora Sleuth fa al caso vostro. Se poi buttando un occhio ai credits scorrendo tra le righe vi capita di imbattervi nell’eclettico drammaturgo inglese Harold Pinter come curatore della sceneggiatura e nel veterano Michael Caine che firma la sua partecipazione al remake dell’omonimo film di Mankiewick del 1972 nel quale interpretava il ruolo del giovane Milo Tindle e per finire nel suo acclamato erede Jude Law, beh, la garanzia del successo è assicurata. Due uomini orchestrano in completa solitudine 86 minuti di pura tensione, di machiavellica irruzione nel crogiuolo mentale e psicologico. Una sola ambientazione, unico teatro, testimone dell'intrigo e della tentazione viscerale che corrode la mente del giovane Milo Tindle (Jude Law) fino a farlo sprofondare negli abissi della menzogna e della disonestà. Una sfida, un'appetibile scommessa. Una diabolica tentazione. Inscenare un furto nella casa del pluripremiato giallista Andrew Wike (Michael Caine) per poter vivere liberamente la storia d'amore con la propria compagna nonché ex moglie dello scrittore. L'offerta patteggiata dallo stesso Wike è a dir poco allettante, e per il giovane aspirante attore vale il detto l'occasione fa l'uomo ladro. Les jeux sont faits e la farsa sta per essere inscenata quando improvvisamente cade il velo di Maya e per lo stolto Milo le cose non si mettono bene. L'arguto e cinico Wike l'ha messo in trappola, dirigendolo proprio come un regista dirige il suo attore all’interno di una bolla di tensione senza alcuna via di scampo. Il giovane vittima della sua stessa ingenuità perisce, ma solo all'apparenza. In un gioco di richiami e di ritorni la situazione si ripropone, ma nel suo doppio oppositivo. Ora è Milo a tenere le redini del gioco e dopo aver inscenato un convincente interrogatorio nei panni di un presunto e viscido ispettore, anche il sadico scrittore si trova messo in gabbia pronto a pagare fio. Ora le due menti sono alla pari, i due si osservano cautamente come giocatori di scacchi, pronti ad interpretare e ad anticipare la mossa dell'avversario. L'uno sembra sopraffare l'altro poi viceversa, in un continuo scambio di sguardi, di intenzioni, di mosse. Negli occhi di entrambi si scorge il sospetto, la diffidenza, la paura. Solo uno dei due uscirà vincitore, quello dalla mente calcolatrice, lucida e fredda. Kenneth Branagh rispolvera l’opera teatrale di Anthony Shaffer con il ricorso ad una regia poliedrica e meta-cinematografica che trasforma la casa, nido familiare e degli affetti in una trappola, in una prigione nascosta e insospettabile, in un vero e proprio spazio scenico nel quale i due attori si muovono in totale libertà. Dalle pareti trasuda un’atmosfera fredda e claustrofobica che avvolge i protagonisti impegnati in un duello verbale e psico-fisico, circondati da oggetti tecnologici all’ultimo grido. Le due menti si fondono e si congiungono, si spostano da un corpo all'altro generando uno sbalzo di personalità, un passaggio sconnesso e volutamente intricato. Geniale la scelta di non mostrare mai l’oscuro oggetto del conflitto, la moglie Maggie che incarna il mistero del film, così come geniali sono i dialoghi al vetriolo scritti per l’occasione da Pinter che contribuiscono a fare di un’opera d’impianto teatrale, un misurato e ironico prodotto cinematografico. Dove sta il bene e dove sta il male? Lo spettatore partecipa all'enigma, indirizzato prima verso una soluzione poi verso un nuovo spunto interpretativo. Si interroga, cerca di capire dove stia il raziocinio, dove la ragione. Incredibile, nonostante tutto anche il più attento cinefilo non può che cadere nella tana del lupo. Quale sia il lupo quale l'agnello sta a voi scoprirlo.
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