La nave dolce PDF 
Maurizio Ermisino   

“Come Diaz anche La nave dolce è un film generazionale: su quella nave c’erano dei ventenni, che non avevano costruito il regime ma lo avevano subito. E anch’io e i miei coetanei all’epoca eravamo dei ventenni. E all’improvviso il destino di noi, giovani adulti dell’epoca, e dei ventenni dei paesi dell’est era accomunato dal crollo del Muro di Berlino. Ci avviavamo verso lo stesso destino”. Questo ci ha raccontato Daniele Vicari parlando del suo ultimo film, il bellissimo documentario La nave dolce, che racconta la storia della prima nave che nel 1991 sbarcò a Bari con sopra un’intera nazione: ventimila albanesi. Così lontano, così vicino, per dirla con Wenders, al suo Diaz.

Lontano, La nave dolce, lo è solo apparentemente, perché è un documentario, mentre Diaz è un film di finzione teso e coinvolgente. Ma ad accomunarli c’è il filo rosso di un Italia che proprio in quegli anni iniziava a cambiare, e avrebbe continuato a farlo. Fino a Genova. E fino ad oggi. C’è il filo rosso sangue di un sistema, uno Stato che si è dimostrato troppo spesso repressivo e quasi mai comprensivo. Uno Stato che ha preferito non affrontare i problemi ma accantonarli, guardarli solo dal (comodo) punto di vista dell’ordine pubblico. Mandando avanti l’esercito. "Italia! Italia!". È un coro di migliaia di persone. Siamo al porto di Bari. È il 1991, e una nave con ventimila albanesi sta per toccare terra. Partiti all’improvviso dal porto di Durazzo - così come stavano, molti in pantaloncini e ciabatte -, queste persone si sono imbarcate in un viaggio verso una vita migliore. Alle loro spalle, nessuna prospettiva. Davanti a loro, l’ignoto. Durante quel viaggio succede di tutto: finisce l’acqua potabile, si dorme dove si riesce. Ma tra le persone sulla nave scatta una solidarietà improvvisa. Arrivati a Bari, ecco quel grido, "Italia! Italia!", "come se stessimo andando in ferie", racconta uno dei testimoni di quei giorni. Quel grido lanciato "per conquistare il cuore degli italiani", entrando in un mondo che avevano sempre visto attraverso la nostra tv. Toccata terra, per gli albanesi inizia l’incubo. I panini, l’acqua, il latte vengono catapultati dall’alto verso la folla. In molti si fingono malati e feriti per salire sulle ambulanze e abbandonare il porto. Dove tutti sono ormai sporchi del carbone che era stato scaricato qualche giorno prima. L’immagine è quella di un girone dantesco. In molti salgono sugli autobus. Ma per andare dove? Allo stadio, il vecchio Stadio della Vittoria, che diventa così il primo CIE della nostra storia. "Un ordine delirante", commenta nel film una funzionaria, "una follia totale".

Vicari ancora una volta si conferma un grande narratore, sia che lo faccia con interviste e immagini di repertorio, cioè con la realtà (La nave dolce), sia che lo faccia con immagini di finzione talmente documentate da sembrare la realtà, e fondersi alla perfezione con il repertorio (Diaz). In particolare, ne La nave dolce, accanto alle immagini d’epoca, colpiscono le interviste realizzate oggi: non sono riprese in location naturali, con gli intervistati seduti, ma sono girate davanti a uno sfondo bianco, con le persone in piedi, libere di muoversi come degli attori in un teatro. In questo modo, Vicari li rende protagonisti, attori che recitano se stessi e la loro storia. Li rende assoluti e paradigmatici. Ci svela i suoi personaggi prima attraverso gli occhi e poi nella totalità dei loro corpi e dei loro volti. Volti che nessun direttore di casting riuscirebbe a trovare. Volti che non possiamo non amare. Volti che solo ora percepiamo come persone, individui, soggetti, mentre la tv, nel lontano 1991, ce li aveva presentati come una massa informe. Una tv che all’epoca aveva ingannato sia loro che noi. Agli albanesi aveva fatto credere che l’Italia fosse il paese del Mulino Bianco e delle ballerine. A noi, in quei giorni, non aveva fatto capire niente. Come, dieci anni più tardi - ma stavolta in modo doloso -, non ha fatto capire niente di Genova. Proprio da Bari l’Italia ha iniziato a cambiare, a scoprirsi brutta, non accogliente. E a Genova si è scoperta ancora più brutta, cattiva. Sì, La nave dolce è un film generazionale. Noi ventenni che non avevamo capito Bari, e poi, trentenni, non avevamo capito neanche Genova, perché ce l’avevano nascosta, dobbiamo vederli questi film. Ovviamente devono vederli tutti, perché lì dentro c’è la nostra memoria. Quella che vorrebbero toglierci. Ma, finché c’è un cinema come questo, non ce la faranno mai.

Titolo originale: La nave dolce; Regia: Daniele Vicari; Sceneggiatura: Benni Atria, Antonella Gaeta, Daniele Vicari; Fotografia: Gherardo Gossi; Montaggio: Benni Atria; Musiche: Teho Teardo; Produzione: Indigo Film, Apulia Film Commission, Archivio Centrale Statale del Film di Albania, Digitalb, Rai Cinema, Skandal Productions, Telenorba; Distribuzione: Microcinema; Durata: 90 min.; Origine: Italia/Albania, 2012

 


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