28 giorni dopo PDF 
di Davide Tarò   

L'essenza di questo magnifico esemplare, di questa pietra miliare, di cinema/spettacolo, cinema/genere ma soprattutto di Cinema/Cinema, sta gran parte, se non tutta, nel dormiveglia, nella sua rappresentazione audiovisiva, nella sua importanza diegetica ed extradiegetica, nello risvegliarsi, nell'aprire lentamente gli occhi, nel "vedere" in uno stato di trance, sia in una sala buia che nella realtà.

Non è un caso che il direttore della fotografia Anthony Dod Mantle (che lavorò già per 'Festen' di Thomas Vinterberg) regali a questa spaventosa visione della razza umana insistenti, dolorosi colori astratti e leggermente annebbiati nelle inquadrature di tutto il film.
La visione e la scoperta (passo dopo passo) di Londra dopo l'esodo, graduale, controllato, in crescendo, ha toni onirici da vendere, il silenzio e l'immanenza irreale fanno il resto.

Potrà accadere inoltre, che un figlio possa "vedere"/immaginarsi ad occhi aperti, pregni di dolore, una specie di filmino amatoriale casalingo proiettato tutto nella sua/nostra testa: l'accoglienza dei suoi genitori se fossero stati ancora vivi, i colori caldi, vividi di casa, dell'affetto per sempre negato: i suoi si sono in realtà suicidati dopo l'avvento del virus.
Alex Garland, a cui si doveva lo strano script di 'The Beach', scrive un soggetto con la patina di film dell'orrore/fantascienza inglese dell'epoca d'oro (Il villaggio dei dannati, Quatermass) che gioca con tutta la trilogia dei morti di Romero ('The night…', 'The Dawn…' e 'The day of the dead'), prende a piene mani da 'The dawn' la "parte" rifornimenti, da 'the night' l'angoscia strisciante dell'inizio (il prete nella chiesa, ed i fedeli morti ed ammassati tra cui vi sono degli infetti che si muovono), e da 'The day' l'insinuante, insistente impressione che l'intero terzo capitolo fosse un "sogno/visione" della donna inquadrata mentre riapre gli occhi, figura presente in tutta la trilogia.

Ma sarebbe sminuire questa pellicola fermarsi ad enumerare e snocciolare le sue "fonti", qui si parla di suggestioni, colori, montaggio, regia perfetti, cioè funzionali all'essenza stessa di dormiveglia del film.
Il protagonista, ci ricorda la sceneggiatura particolare di Alex Garland, si risveglia mentre il mondo intero si "addormenta", gli stessi genitori del ragazzo prima in coma gli scrivono una fatidica cartolina per l'aldilà: "Ti abbiamo lasciato mentre dormivi, ora ci siamo addormentati con te, Non ti svegliare".

La musica perfetta e calibrata di John Murphy segue in falsariga le tonalità di una 'ninna nanna', magari fusa con il rock, con un assolo di malinconica chitarra, o con una voce di donna, ma tutto l'impianto musicale ricorda il tema del dormiveglia prima del sonno (o dell'incubo).

In effetti, questa vita (il film) sembra essere un dormiveglia infinito in attesa di qualcosa, basta notare il sogno ripetuto nella campagna inglese del protagonista, tra i 'menhir' e le antiche costruzioni.

Realtà o sogno poco importa: gli occhi color azzurro paradiso di Cillian Murphy sono costretti a vedere l'inferno in terra ed il sangue. Costretti a percepire l'hell, come la scritta che "vede" quando sverrà verso la fine del film (ancora dormiveglia dunque), incisa tra i verdi pascoli inglesi. Poi si sveglierà e l'hell diventerà un 'hellO' fatto di vestiti e di metri e metri di indumenti atti a segnalare la propria posizione ad eventuali soccorritori; cosa scegliere?, se questo mondo è un costante dormiveglia tra l'azzurro degli occhi del protagonista ed il rosso porpora del sangue degli infetti, forse le persone a cui voler bene possono essere l'unica salvezza, una specie di ricordo familiare in una cartolina sgualcita.

Quello che ci "separa" dalle belve e dalle scimmie gesticolanti dell'inizio è una effimera scintilla di ragione, che non ci appartiene fino in fondo, visto che il volto angelico di Cillian Murphy può trasformarsi a torso nudo (come quello dei primati) in una spietata ed incontrollabile "bestia" con raziocinio, più temibile che gli infettati stessi.

Boyle e Garland si divertono inoltre a sottintendere l'uso delle droghe leggere (Hannah che chiede del valium al padre per poter dormire, oppure le varie pillole che si prendono per non "sentire" e "vedere") che in fondo portano a quella inquietante situazione di "dormiveglia" dalla quale non riusciremo più a liberarci per tutto il film.

Una pellicola che fissa un limite, il limite del piacere di andare finalmente al cinema, di vederlo, in trance, e di parlarne. Una film ricco, stratificato, emozionante, con il coraggio di andare fino in fondo, non "originale" ma stranamente perfetto questo sì, plasma un intero genere, strutture, impressioni. È bello e funzionale, un capolavoro tra qualche anno sicuramente, diamo(ci) il tempo di "assimilarlo".

 


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