Black Mamba e Zatoichi: il mestiere della spada PDF 
di Barbara Lorenzoni   

Cosa lega due film, entrambi imperdibili di questa stagione cinematografica, ma provenienti da due mondi lontani anni luce?

 

Ad una prima lettura si direbbe un oggetto, non un oggetto qualsiasi ma un'arma, e non un'arma qualsiasi bensì un simbolo : la katana, compagna fedele per chi pratica il kenjutsu (l'arte della spada nelle arti marziali).
Tarantino, grande 'ruminatore' del cinema internazionale, ha masticato e decomposto tanti, forse troppi generi e ora ci offre con Kill Bill un distillato, una versione delle sue principali preferenze nel cinema di cappa e spada: catfight, yakuza movie, wuxia-pian, gangsters movie, kung fu, cartoni manga, thriller e spaghetti western. Tutto si mescola e si confonde in un polpettone originale e inequivocabilmente firmato Tarantino. Al centro c'è lei, la sposa, non in 'nero' ma 'in giallo', colore che identifica la sua funzione di vendicatrice soprattutto nella seconda parte del film, quando Uma Thurman (musa di Tarantino) indossa la 'divisa' di Bruce Lee, la tuta gialla con la banda nera.

Moderna samurai implacabile sceglie la katana per fare piazza pulita delle sue nemiche, dando prova di grande maestria. Questa arma da taglio, più di altre, permette a Tarantino di raggiungere quel livello irreale e parossistico nella rappresentazione della violenza che è la marca fondamentale e più riconoscibile del suo cinema (già Bruce Willis in Pulp fiction l'aveva preferita ad altri strumenti del male) e ciò che da subito ha più affascinato i suoi estimatori.

Anche nel film di Kitano imperversa la katana, associata in particolare al protagonista, Zatoichi, il massaggiatore cieco, e al suo rivale, il ronin Hattori. La presenza di quest'arma qui è senza dubbio più giustificata e coerente dal punto di vista diegetico. Infatti non
può che essere quella l'arma dei clan che, in una epoca passata del Giappone , si affrontano per il dominio su un piccolo villaggio di campagna.
Mentre il cinema di Tarantino per funzionare ha bisogno di risultare totalmente improbabile e inverosimile, tanto che i suoi detrattori peggiori sono proprio quegli spettatori che non scorgono l'eccesso di finzione nella messa in scena della violenza, che non scorgono la manipolazione di quello che è già un primo livello di finzione, quella sovrabbondanza di filtri estetici che crea il distacco ironico rispetto alla profusione di sangue, nell'ultimo film di Kitano il rapporto dell'autore con l'enunciazione, pur passando attraverso la finzione è più immediato, diretto, meno strutturato.

 

Certo anche in Zatoichi è esplicito, denunciato, il ricorso a tutte quelle rielaborazioni della realtà che appartengono al linguaggio della finzione cinematografica, a tutti i simboli, alle immagini-icone ai quali un regista può affidare anche tanto dell'essenza, della ragione di essere del suo film, come l'artificiosissimo colore biondo della capigliatura del protagonista. Il livello di finzione però in Kitano rimane uno, non passa attraverso acrobatiche, ripetute e ossessive manipolazioni.
Il mondo di Kitano è in questo film inoltre profondamente legato al Giappone tradizionale, recupera l'eroe di una serie di telefilm famosa negli anni '60, inserito in un contesto che è la rivisitazione del Giappone medioevale di Kurosawa in una chiave scanzonata e leggera, dove non mancano i duelli e gli spargimenti di sangue, ma neanche piccoli accenni parodistici della figura leggendaria del samurai. Meno serio di quello di Kurosawa è però il linguaggio usato da Kitano che, assuntosi il ruolo di divulgatore di valori orientali, specialmente presso il pubblico occidentale, ammicca come Tarantino allo spaghetti western e non esita a trascinare in un tip tap collettivo e travolgente i personaggi del film. Se questo è un punto di contatto con il film di Tarantino, d'altra parte esiste una differenza fondamentale tra le due opere: Zatoichi non ruota intorno alla violenza, bensì intorno ad una certa idea del Giappone, specialmente quello leggendario.

Ma le sorprese che riserva seguire il filo rosso 'samurai-katana' non finiscono qui: ad affiancare tra loro i due film c'è anche un'analogia diegetica, ovvero la presenza in entrambi i film di un episodio in flashback in cui un'esplosione di violenza premeditata rende orfani alcuni bambini. Nel film di Tarantino si tratta dell'inserto di animazione in cui la piccola O-Ren-Ishi si salva dal bagno di sangue perché nascosta sotto il letto, in Zatoichi sono due fratelli, figli di mercanti, a salvarsi dall'aggressione del boss e dei suoi scagnozzi, sempre utilizzando un nascondiglio. In entrambi i casi sarà la vendetta a segnare la vita da adulti degli orfani.
L'aspetto forse più interessante e intrigante del parallelo che questi due film consentono di tracciare è l'impiego nello specifico delle arti marziali, nel loro valore narrativo ed estetico. In entrambi i film la storia procede, scontro dopo scontro, prova dopo prova, in un climax emotivo che coincide con l'affermazione assoluta dei due protagonisti su tutti gli antagonisti.

 

In Kill Bill domina la katana, affiancata da coltelli da cucina e da bolas d'acciaio. La valenza esteticamente più significativa della presenza della katana nel film di Tarantino è forse il duello tra Black Mamba e O-Ren Ishi, in cui il rosso del sangue della boss yakuza esplode sul bianco della neve e del suo kimono. Emblema metalinguistico: il cinema di Tarantino 'uccide' quello giapponese - che ama - per poterlo poi assimilare.
In Zatoichi, alla katana si affianca il wakizashi, la spada corta, componente indispensabile dell'armamentario del perfetto samurai e il bokken, spada di legno usata negli allenamenti. Ma, come dice il maestro che allena il ronin da ragazzo, in Zatoichi, il samurai combatte con la katana.
A questa arma inoltre è attribuito in entrambi i film un valore simbolico molto forte che proviene, mediato da tante opere cinematografiche di azione, da un'antica componente della cultura giapponese: "La spada pareva esercitare uno strano fascino sui membri di tutte le classi, ma per il bushi significava l'inizio della sua vita di guerriero, ne segnava i progressi, e spesso era lo strumento della sua fine prematura. La spada è circondata da leggende che risalgono a periodi e ad eventi già velati dalle nebbie del tempo quando la classe militare cominciò la sua avanzata verso il centro politico del Giappone. […]
La mistica che circondava quest'arma, infatti, si rispecchia nelle cronache delle epoche mitiche del Giappone, in cui, per esempio, si parla di una spada che il principe Yamato (l'unificatore della nazione) trovò nella coda del drago da lui ucciso. […]

La forgia delle lame (un procedimento lungo e molto complesso) era circondata dalla segretezza rituale, ed i dettagli della tecnica, secondo le usanze dell'artigianato giapponese, venivano trasmessi di padre in figlio: in tal modo, molti nomi di famiglia divennero famosi per la produzione di lame. Ogni fabbro aveva il suo metodo di forgiatura, la sua tecnica per mischiare ferro e acciaio, per provare i materiali e così via". Black Mamba vola fino a Okinawa per commissionare una katana al fabbro Hattori Hanzo, artigiano di fiducia del suo nemico numero uno.

Se questi sono gli aspetti formali e leggendari della spada come arma in sé, la bravura del samurai nell'usarla è un aspetto di assoluta rilevanza che fa parte dell'identità del personaggio femminile Black Mamba (a cui vengono attribuiti anche altri nomi) e maschile Zatoichi. In entrambi i casi due guerrieri sui generis: una donna e un cieco, o presunto tale, ai quali non manca nulla comunque per avere sempre la meglio sull'avversario o sugli avversari, insomma per essere invincibili.

 

Nel Giappone antico i samurai godevano spesso di una fama leggendaria, come Miyamoto Musashi, che scrive tra l'altro nel suo 'Il libro dei cinque anelli' parole interessanti per decodificare la forza travolgente dei due protagonisti: "Se imparerai i principi della scherma fino a raggiungere il livello in cui puoi facilmente vincere un avversario, avrai coscienza di poter battere con altrettanta facilità ogni avversario al mondo: battere un avversario è la stessa cosa come batterne migliaia, decine di migliaia" (2) .
Zatoichi e Black Mamba sono entrambi imbattibili perché così hanno deciso i due registi, ma messi a confronto, il primo risulta evidentemente superiore nell'estrazione veloce della spada (iaido), in quanto, come succede più volte, è in grado di sfoderare la katana e di colpire prima che l'avversario abbia il tempo di sfoderare la sua. Kitano riproduce un samurai che ha raggiunto i massimi livelli della tecnica. A Tarantino invece interessa poco della tecnica, così come della credibilità del suo personaggio: interessa molto più l'iconografia che sta intorno all'abilità, alla sua portata devastante per attribuire la giusta connotazione 'guerriera' alla spietata vendicatrice. Come dire che Kitano attinge alla sostanza delle arti marziali più che alla loro forma, mentre Tarantino più alla loro forma, a ciò che di quelle arti conosce attraverso precedenti mediazioni cinematografiche.

E di katana sentiremo ancora parlare presto, visto che L'ultimo samurai di Cruise sta per uscire sugli schermi…

(1) O. Ratti, A. Westbrook, I segreti dei samurai. Pratica e storia delle arti marziali, Mondadori, Milano 1993, pagg. 268, 270, 277
(2) Miyamoto Musashi, Il libro dei cinque anelli, Mondadori, Milano 1993, pag.50.

 


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