Cose di questo mondo: la dualità della narrazione PDF 
di Davide Morello   

Già dal titolo il film di Winterbottom implica un chiaro e provocatorio rovesciamento: la vicenda narrata non si svolge in un altro mondo ma proprio qua vicino: è la cronaca, l' attualità. Il rovesciamento è anche di prospettiva: lo spettatore non assiste, come al solito, allo sbarco di profughi nel proprio paese, ma segue i protagonisti nella loro ardua impresa, nel tentativo di raggiungere, come clandestini, l'Occidente, la terra sognata, un nuovo futuro, percorrendo la lunga strada che dal Pakistan conduce a Londra.
Alla base del film vi è un dualismo che si esprime attraverso specifiche opposizioni tematiche e attraverso un linguaggio che oscilla fra il documentarismo e la fiction.


Tre piani d'ambientazione mostrano un paese rurale e povero, popolato da giovani e da anziani. Una voce extradiegetica, come in un documentario, informa lo spettatore fornendo dati sulla condizione e sulla quantità di profughi che abitano queste zone dell'Asia a causa delle persecuzioni politiche e della guerra. Da una descrizione generalizzata sulla situazione di un popolo, si introduce il caso singolo, quello di Jamal e ciò avviene sia visivamente, attraverso l'inquadratura che mostra il ragazzino al lavoro, sia tramite l'uso del commento sonoro che presenta indirettamente il personaggio. Nel cinema politico moderno il fatto privato si confonde con l'immediato-sociale o politico(1). Jamal e il suo amico Enayat divengono infatti simbolo di quei profughi che, investendo tutto il loro denaro, si mettono nelle mani di organizzazioni illecite con la speranza si realizzare un sogno, il quale, si sa, finisce per rivelarsi un'odissea, un percorso pieno di imprevisti, in condizioni del tutto precarie, con il timore di essere scoperti.

Ancora il commento segnala che fra queste persone una buona percentuale non riesce a raggiungere l'obiettivo prefissato: alcuni muoiono, altri finiscono per essere sfruttati dalle stesse organizzazioni criminali. Questa voce non si farà più sentire e gli eventi si succedono come per rappresentare "la vita colta sul fatto". Non vi sono attori professionisti, ma gente comune, per la strada, nelle mense, nelle botteghe e nei bar, il suono è in presa diretta, l'illuminazione è naturale e la macchina da presa a mano esibisce quell'instabilità dell'immagine tipica del reportage o del cinéma-veritè. Vi è infatti "fabulazione", la pellicola ricostruisce questa storia realmente accaduta, i personaggi reali sono messi in grado di "finzionare" direbbe Deleuze: "L'autore fa un passo verso i propri personaggi che fanno un passo verso l' autore: un doppio divenire", ma questa duplicità è già presente nella "facoltà che mette in contatto il fuori e il dentro, il fatto del popolo e il fatto privato"(2).

Le premesse documentaristiche lasciano spazio alla narrazione che sviluppa i propri contenuti in termini oppositivi. Lo zio di Enayat consegna il denaro al nipote che, con l'amico, intraprende il viaggio. È rappresentato un mondo di anziani che vuol regalare ai giovani opportunità migliori. Lo sguardo dello zio che osserva riflessivo la partenza dei ragazzi si ripete nel finale come termine di confronto quando, sentito Jamal da Londra, lo zio scopre che suo nipote non è più in questo mondo: il viaggio verso una vita migliore è divenuto viaggio di morte.

I giovani percorrono un itinerario attraverso vari gradi di civilizzazione. Abbandonano il paese, l'essenziale, la solidarietà che regna fra la povera gente per giungere in paesi sempre più modernizzati. Arrivati in Iran devono cambiarsi i vestiti per non farsi riconoscere come afgani. Dall'autobus Teheran è la città notturna che si riempie di luci e traffico. Si assiste a una tempesta di luci cittadine, insegne luminose, immagini televisive in cui vaga lo sguardo del protagonista.

Altre sequenze mostrano chiaramente come questa pellicola coniughi il cinema diretto con alcune strategie narrative tipiche di un cinema di finzione. Sono sequenze strutturate sull' identificazione con i personaggi, sulla dilatazione del tempo, sulla suspense: "dare risalto alla dimensione temporale vuol dire quasi sempre riaffermare la chiamata in causa dello spettatore, del suo stato attivo di percezione"(3). Sono quelle in cui i due giungono al confine e nel corso delle quali maggiormente rischiano di essere scoperti dai controlli. L'autobus si ferma alla frontiera con l'Iran ad un posto di blocco: lo sguardo verso i militari è dall'interno del mezzo. All'esterno i soldati iniziano a perquisire il bagagliaio mentre uno di loro sale sul bus. Lo sguardo dall'interno è ancora quello dei protagonisti che osservano il controllo dei documenti che si sta effettuando presso alcuni viaggiatori. Si vedono Jamal e Enayat guardarsi intorno, far finta di niente e ancora il soldato che dopo un altro controllo li scopre. Tramite uno stacco li si vede su un furgoncino militare che li riconduce al loro luogo di partenza.

L'altra sequenza riguarda il passaggio che li condurrà in Turchia. Entrambi i personaggi sono accompagnati da un ragazzino quando tentano di valicare le montagne lungo i sentieri bui e impervi. Nell'oscurità i passi e le voci dei tre fanno intendere le fatiche, la difficoltà dell'impresa e preparano ad un pericolo imminente. Si odono le scariche di un fucile e delle voci provenienti da un posto di blocco poco distante e la voce dell'accompagnatore che dice di stare a terra. Questa scena è giocata su campi e controcampi, il buio prevalente che avvolge i protagonisti e il posto di blocco con le figure bianche, come su un negativo, di un uomo armato e della sua auto: altri colpi di fucile e poi la partenza. Stacco, e i due sono ormai in Turchia: è giorno e camminano lasciandosi le grandi e bianche montagne alle spalle.
A un distacco analitico del documentario che si può presupporre obiettivo, che "si limita a riprodurre il reale", si sovrappone una visione maggiormente introspettiva, che osserva il caso umano da vicino, vede e sente insieme con il personaggio.

 

Tutto pare il risultato di un sistema dialettico che si diffonde ai diversi livelli a partire dallo stesso stile di regia, che trova probabili presupposti nella tradizione documentaristica e ancor più nell'indagine del cinéma-veritè e che si combina con altri elementi di un cinema di finzione e moderno. Si pensi alla cascata di inquadrature soggettive della città, alla natura dell'immagine che talvolta supera il realismo fotografico, ai movimenti di macchina, alle tradizionali soluzioni di continuità quali il campo e controcampo o i raccordi sull'asse; alla condensazione temporale espressa attraverso le didascalie e alla rappresentazione del tragitto compiuto sulla cartina geografica che compare in sovrimpressione, agli inserti del mezzo di trasporto che attraversano territori in cui si trovano didascalie che ne indicano la nazionalità. Anche la storia si articola seguendo un tragitto binario che oppone le generazioni rappresentate, il paese rurale e la città moderna, il passato da cui si fugge e l'imprevisto del futuro, la vita e la morte.

(1) G. Deleuze, L’immagine tempo, Ubulibri, Milano 1989, p.241
(2) G. Deleuze, Op. cit., pp.244-245
(3) G. Tinazzi, La copia originale, Marsilio Editore, Venezia 1983, p.30

 


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