Nel cinema, e con ancor più frequenza nel campo dell'horror, esistono i modelli, le derivazioni, le tipicità, per un insieme di canovacci essenziali che si ritrovano comunemente in molte pellicole e che raffigurano situazioni narrative e modalità di rappresentazione similari e dunque facilmente riconoscibili. In un'epoca in cui l'originalità è fattore non comune, e di sempre più difficile attuazione, e la sperimentazione comporta un azzardo che non sempre raccoglie i favori del pubblico, ecco che molti film si situano in una terra di confine in cui il già visto, il già detto, il già mostrato vengono pedestremente riproposti. Si preferisce calpestare un terreno solido e compatto, invece di gettarsi in acque sconosciute e dunque evidentemente pericolose.
Eppure, anche nell'horror, la riproposizione di schemi consueti non è sempre sinonimo di stanca ripetitività; è possibile trasformare i canoni, rimodellarli, riassemblarli, ricostruirli per forgiare nuove essenze così da fornire un prodotto comunque interessante e affascinante. La casa dei 1000 corpi, 28 giorni dopo, L'alba dei morti viventi (solo per limitarci a uscite recenti), sono film che infischiandosene dell'originalità riescono a creare materia comunque nuova, limpida, d'impatto. Purtroppo però, talvolta, la ripetizione degli stereotipi conduce a risultati poco soddisfacenti: è il caso di The Skeleton Key, thriller-horror diretto da Iain Softley, già autore di Backbeat, Hackers, Le ali dell'amore e del discutibile K-Pax, scritto da Ehren Kruger (The Ring, The Ring 2, Arlington Road) e interpretato nella parte della protagonista da una volenterosa ma non eccelsa Kate Hudson.
Caroline, giovane infermiera, viene assunta per occuparsi di Ben Devereaux, anziano in fin di vita colpito da un ictus e apparentemente paralizzato; si trasferisce a casa di lui e della burbera e misteriosa moglie Violet, in un'immensa villa situata in mezzo alle paludi, e finisce a scontrarsi con un passato terribile che torna a palesarsi nel presente, con riti di magia e stregoneria, e a trovarsi vittima di un intrigo compiuto ai suoi danni, per un finale che ribalterà poi le attese. Sinossi non particolaramente innovativa, che assume in sé la completa derivazione, per non dire la pedissequa ripetizione, dei suddetti canovacci già ampiamente sviluppati da film precedenti. Da Rosemary's Baby a La nona porta, da The Grudge a The Others, dalle migliaia di case maledette della cinematografia horror alla stanza segreta di Barbablù, The Skeleton Key vive di pura rendita, sviluppando una sceneggiatura piatta e lineare per un intrigo che riesce effettivamente a regalare qualche brivido, ma solo in pochi e isolati momenti. Dalla porta nella soffitta che non deve essere aperta, ai flash-back di un passato in realtà mai morto, attraverso le disperate richieste d'aiuto di un uomo evidentemente vittima di una maledizione, fino alla battaglia di Caroline, che non tarda a comprendere e ad affrontare il mistero che si cela dietro all'apparenza, il film segue un tracciato lineare, e non sa porre in visione elementi nuovi capaci di insinuare dubbi, sorprese o empatia.
Softley non rischia mai, e appesantisce la sua regia con inserti in cui l'inspiegabile utilizzo di movimenti accelerati non fa altro che abbassare (o annullare) ulteriormente la suspense. Gli attori si impegnano, Gena Rowlands, Ian Hurt e Peter Sarsgaard fanno la loro buona figura, ma restano schiavi del déjà-vu, e la decisa virata della parte finale, che alza improvvisamente il ritmo a fronte di una prima parte (sonno)lenta e quasi catatonica, non salva il risultato di un film modesto, un prodotto medio-basso che nella discreta confezione visiva cerca un appiglio di fronte al buio della trama.
Unico punto di interesse, peraltro sviluppato in maniera piuttosto superficiale, rimane l'analisi della contrapposizione tra la tematica voodoo (una vera e propria religione) e quella hoodoo (un insieme di componenti magiche ed esoteriche). Ma si resta ai margini, aggrappati al suolo. Così le porte si aprono e si richiudono, la casa nella palude compie il proprio rito di passaggio, e The Skeleton Key inizia, scorre e finisce senza lasciare alcuna tangibile traccia.
|