La prima commedia italiana bella, da molti anni a questa parte. Dove “bella” non è l’abusato “carina”, non è il diplomatico “gradevole”, non è il facile “piacevole”. È un aggettivo che implica una pienezza e una compiutezza che non si trova nell’ultimo film di Verdone e neanche ne L’uomo nero di Sergio Rubini, solo per fare due esempi recenti, e non c’è nemmeno nei precedenti film di Virzì, che con La prima cosa bella firma la sua opera più personale e riuscita.
Al centro della narrazione c’è la storia di una famiglia, una scelta da un lato facile e dall’altro rischiosa. In un momento storico e politico così delicato per l’Italia, Virzì decide di piegarsi a guardare il proprio ombelico e di raccontare gli affetti, punto e basta. In una miracolosa alchimia di risate e lacrime resa possibile da un’ottima sceneggiatura (del regista insieme a Francesco Bruni e Francesco Piccolo) e da un cast perfetto, il film centra il bersaglio, senza cadere in afflati buonisti e sentimentalismi melensi. La prima cosa bella è una dichiarazione d’amore, anzi una serie di dichiarazioni d’amore. Di un regista alla sua mamma (la prima cosa bella) e a un prototipo italiano di mamma, alla sua giovane moglie e musa, a una Livorno insieme gabbia e nido, alla commedia, a un modello di femminilità – cinematografica ma anche reale – incarnata da Stefania Sandrelli e, nella sua versione giovane, da Micaela Ramazzotti, che sembra aver interiorizzato a tal punto i personaggi interpretati in passato dalla Sandrelli, in particolare l’Adriana di Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, da risultare perfettamente credibile nel ruolo di una donna ingenua e vitale, sciocca e sincera, irritante e irresistibile.
Le vicende si snodano tra gli anni Settanta e i giorni nostri, in un fluido gioco di flashback. Il punto di vista sugli affetti è quello dell’anaffettivo Bruno, fuggito a Milano dalla provincia e da una madre ingombrante, Anna Nigiotti in Michelucci, Miss Mamma Estate 1971, oggetto del desiderio dei maschi di provincia e per questo cacciata di casa da un marito geloso, perennemente in fuga, sempre mano nella mano coi due figlioletti, l’attento Bruno e la sempliciotta Valeria, per le vie deserte di una Livorno notturna, a cantare le canzoni per scacciare la tristezza, che “con la mamma ci si diverte sempre!”. Ma non sembra pensarla così il piccolo Bruno, che con occhi svegli e apprensivi segue le storie della mamma, che tira avanti grazie al suo fascino ruspante, abbordata da un giornalista locale, comparsa imbranata ne La moglie del prete di Dino Risi (interpretato in un piccolo cameo dal figlio Marco), mantenuta da un manesco conte, poi parcheggiata coi pupi nello scantinato di un negozio e ancora inadeguata segretaria di un ricco avvocato. Tutti gli uomini che girano intorno alle grazie della bella Anna sono per Bruno gli approfittatori di una donna facile. Ma le cose non stanno proprio così e verrà fuori che l’unico amante reale di Anna è proprio il suo ex marito. L’altro sguardo, innamorato ma obiettivo, che segue in silenzio le gioie e i dolori della donna è quello del vicino di casa Nesi, l’unico depositario di tutta la verità, epurata dai pettegolezzi e dalla mitologia di provincia, su Anna Nigiotti in Michelucci. L’esuberante voglia di vivere della donna, non smorzata nemmeno dal cancro che se la sta portando via, costringerà l’adulto Bruno (il romanaccio Valerio Mastandrea, che sfoggia una naturale e credibilissima parlata livornese, come quella di Claudia Pandolfi nel ruolo di Valeria) a tornare all’ovile e a riconciliarsi col suo passato e con la donna che le ha rovinato la vita.
Si potrà accusare il film di essere ripiegato sull’ennesimo ritratto familista o di essere poco coraggioso. Ma di fronte alla disarmante sincerità da cui sembra animato, all’ottimismo non superficiale che vi si respira e al calore naturale che emanano i personaggi – pur nelle loro difficoltà relazionali – è un piacere arrendersi, magari anche con qualche lacrima di cui vergognarsi col vicino di posto. C’è modo e modo di raccontare una storia familiare e Virzì lo fa con classe, intelligenza e ironia, lo fa proprio “ammodino”, come direbbe Anna Nigiotti in Michelucci. E ci fa pensare che la commedia in Italia non fosse morta, ma solo svenuta.
TITOLO ORIGINALE: La prima cosa bella; REGIA: Paolo Virzì; SCENEGGIATURA: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì; FOTOGRAFIA: Nicola Pecorini; MONTAGGIO: Simone Manetti; MUSICA: Carlo Virzì; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 116 min.
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