Babylon A.D. PDF 
Michele Segala   

In un ipotetico futuro il pianeta terra è sprofondato in una realtà distopica dove i terroristi sono un pericolo costante, intere zone del pianeta sono state nuclearizzate, e religioni-azienda fungono da potenti organizzazioni politico-mafiose. In Russia, dove si è rifugiato dopo essere stato esiliato dagli Stati Uniti, il mercenario Toorop (Vin Diesel) riceve l’incarico di "consegnare" una ragazza misteriosamente preziosa per le sorti del mondo, Aurora (Mélanie Thierry): dovrà riuscire a scortarla dalla Mongolia - dove ha vissuto da sempre protetta in un convento della setta dei neoliti - fino a New York, evitando che finisca nelle mani di gruppi terroristici più o meno identificati, facendola uscire indenne dall’attraversamento illegale di confini altamente militarizzati (lo stretto di Bering), e aiutandola al contempo a non impazzire (sembra trattarsi di una sensitiva) al contatto con la disperazione e la miseria da quarto mondo cui sembra essere destinata buona parte del pianeta. Toorop apre il film con un passo da gangsta-rap, brutale, crudo, inevitabilmente privo di sentimenti, armato fino ai denti, e con un codice d’onore da sicario old-school, ma presto si lascerà intenerire in compagnia della bella Aurora e della sua compagna di viaggio, Sorella Rebeka (Michelle Yeoh), grazie alle quali finirà per scoprirsi un idealista pronto a credere di poter salvare il mondo.

La città di Babilonia e la sua torre sono da sempre immagini potenti, mitiche, da cui spesso il cinema ha tratto ispirazione - Metropolis docet -, perché Babilonia è il prototipo della città moderna, se non addirittura del mondo moderno: multilingue, multiculturale, ma con il concreto rischio di auto-fagocitarsi, di fare della sua forza una debolezza. Certo, quello col film di Lang, ma anche, volendo, con Blade Runner (altro film sulle babeli possibili), è un paragone che il film di Kassovitz non può nemmeno provare a reggere. Non solo perché le sovrastrutture (mitiche e cine-ideologiche) che sono state poste sulle spalle dei due film sopra citati sono abnormi, quanto perché se anche una sceneggiatura non fa il film (e ancora una volta Metropolis è un buon esempio), certo in un film che si vorrebbe essere di azione una discreta rilevanza non può non averla. Se non per i contenuti quantomeno per la forma. Ed è qui che Babylon A.D. fallisce miseramente, perché anche il più modesto film di tal genere deve perlomeno avere come intento quello di coinvolgere, intrattenere, ed infine, magari, stupire il pubblico. Tenendolo sul filo della tensione, vorrebbe il manuale. Nel nostro caso, invece, gli elementi che Kassovitz sciorina, complici un montaggio incerto e una produzione più che problematica, sono completamente privi di originalità: anche qui, come in Blade Runner, ci sono i poveracci che si spargono nelle strade di metropoli multilingue, c’è (si fa per dire) l’assenza perenne del sole a favore invece di variazioni dei soliti colori (grigio, blu, nero), c’è l’eroe solitario che in realtà è un antieroe (ma in fondo in fondo si scopre essere davvero un eroe, perché pronto al sacrificio). Il tutto in un’ora e mezza di sceneggiatura confusa e che fa acqua da tutte le parti. Persino l’ultima chance di coinvolgere il pubblico è vanificata dall’incerta prova degli attori: viene da salvare di certo Michelle Yeoh (la Shu Lien de La tigre e il dragone), ma la giovane Mélanie Thierry sembra una nuova Milla Yovovich, di cui si sente poco il bisogno. Per non parlare dei ruoli minori di Charlotte Rampling come grande sacerdotessa e Gérard Depardieu come mafioso russo, che fanno più male (ai cinefili) che bene (al grande pubblico) per i loro ruoli stereotipati (una menzione particolare, in negativo, a chi ha vestito addosso a Depardieu il personaggio di un mafioso russo che pare una macchietta da Sopranos di serie B in salsa moscovita).

Per quel che riguarda il grande mito della Babele che tutti dobbiamo temere, ovvero il monito alle genti per una società giusta in cui nessuno abbia da sentirsi schiavo e in cui tutte le culture possano arrivare a comprendersi, ebbene il mito tace e di esso restano solo cornucopie digitali, mal scannerizzate. L’unico dubbio che rimane a questo punto è se il grande avvenire di Mathieu Kassovitz sia tutto alle sue spalle: scoperto come giovane metteur en scène promettente e quasi engagé (L’odio), ha fatto seguire progetti ambiziosi come la ricerca della quadratura del cerchio tra thrilling e cinema d’autore (Assassin(s)), blockbuster d’azione made in europe che non temono confronti di botteghino con i rivali di genere d’oltreoceano (I fiumi di porpora), o thriller parapsicologici da regista europeo che, una volta a Hollywood, di Hollywood sposa gli occhi e le fattezze (Gothika). Tutti, alcuni più alcuni meno, che fanno rimpiangere l’approccio secco e concreto di quel L’odio da cui la sua fama era esplosa. Il nuovo capitolo di questo suo percorso sposa proprio l’action movie tout court e made in USA che - come da sempre si conviene a chi ha ambizioni e budget che glielo permettono - vuol dire action movie di science fiction distopico. Con i risultati che ne sono seguiti. In difesa del regista francese va detto che lui stesso ha preso le distanze da un prodotto finale che a suo dire è stato manomesso sia in fase di produzione che in fase di montaggio dalla Twentieth Century Fox: dichiarazione che suona particolarmente forte essendo Babylon A.D. un progetto che lui stesso ha spinto (dopo aver letto il romanzo Babylon Babies di Maurice Dantec), al quale avrebbe dedicato 5 anni, e che Kassovitz oggi arriva addirittura a definire pubblicamente come un film di “pura violenza e stupidità”. Stando così le cose, parrebbe legittimo chiedersi perché non scegliere di togliere il proprio nome dai credits e apporvi l’usuale pseudonimo Alan Smithee, coniato appositamente da registi còlti nelle spire della cattiva produzione hollywoodiana.

Cosa salvare quindi, una volta usciti dalla sala, di Babylon A.D.? Volti, immagini di inseguimenti, di sottomarini, di sparatorie…tutto ciò smuove poco nello spettatore e non aggiunge nulla ad un film che stritola nel suo correre verso un finale tra i più brutti che il genere ricordi qualsiasi cosa: non restano visioni da cinema digitale mozzafiato, né trovano spazio momenti di interazione pura tra gli attori, che raramente trovano nella sceneggiatura o nei dialoghi qualcosa da valorizzare. Così, se qualcosa rimane, se qualcosa sembra riuscire ad ergersi dai ruderi di questa Babilonia svenduta, viene - e suona strano quasi solo pensarlo - da uno degli attori apparentemente più modesti del cinema americano, da quel novello Schwarzenegger che vorrebbe essere Vin Diesel: pur essendo il suo ruolo quello del solito protagonista di film d’azione - poco cervello e tanti muscoli -, quando in un momento di calma del film la macchina da presa gli si posa addosso stringendosi su un primo piano del suo viso rugato, brutto, quasi una maschera di cera che sembra sul punto di creparsi…beh, quel viso (forse suo malgrado?) lascia trasparire da quella bruttezza, da tutta quell’imperfezione, un’umanità nella quale il personaggio non riesce a farci credere con le azioni (o con i suoi monologhi mal scritti), ma che lì, grazie a quell’inquadratura, in una sola manciata di secondi, quel viso sfatto riesce a far intravvedere nelle ombre dense attorno a sé. Un’umanità della quale si possono cogliere stanchezza, tenerezza, forse persino illusioni e sogni.

Purtroppo Vin Diesel può salvare il mondo, certo, ma pochi fotogrammi del suo viso non riusciranno mai a salvare questo film.


TITOLO ORIGINALE: Babylon A.D.; REGIA: Mathieu Kassovitz; SCENEGGIATURA: Eric Besnard, Mathieu Kassovitz, Joseph Simas; FOTOGRAFIA: Thierry Arbogast; MONTAGGIO: Benjamin Weill; MUSICA: Atli Örvarsson; PRODUZIONE: USA, Francia; ANNO: 2008; DURATA: 90 min.

 


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