Mysterious Skin PDF 
Nicolò Barretta   

La provocazione è un elemento narrativo che molti registi indipendenti adottano per approfondire tematiche che altrimenti non riscuoterebbero interesse da parte del pubblico. Un regista provocatore, che si diletta a rappresentare sullo schermo situazioni e figure alquanto discutibili, è l’autore filippino d’origine, ma americano di adozione, Gregg Araki. I film di Araki sono chiaramente un prodotto, frutto di una sensibilità complessa, che si vuole imporre mescolando risonanze socio-politiche con aspetti propriamente tipici del cinema indie, affrontando temi che mirano a porre l’accento su una generazione di giovani disperati o condannati, alle prese con gravi problematiche. Un aspetto dei suoi lavori che colpisce in modo particolare è l’uso di un’estetica dell’eccesso, basata su immagini vistose e sovra stilizzate, con l’impiego di colori sgargianti e forti.

È con Mysterious Skin (id., 2005) che l’autore tocca il suo apice artistico, trattando il tema della pedofilia attraverso una drammatizzazione potente e vigorosa della messa in scena che verte sulla tragica vicenda di due ragazzi che da bambini sono rimasti vittima di violenze e che hanno a loro modo assorbito il dramma. Brian Lackey, il più fragile emotivamente dei due, si è convinto di essere stato rapito dagli alieni, e da allora ha paura del buio e fa incubi tremendi; Neil Mc Cormick, suo coetaneo, ha deciso di trascorrere l’adolescenza concedendosi fisicamente a viziosi uomini adulti. La forza dell’opera risiede nella poeticità trasgressiva, che risulta essere il motore incontrastato del dramma. Mysterious Skin, è un film considerato dai critici cinematografici e dagli addetti ai lavori un prodotto scomodo e di difficile collocazione produttiva.  Non solo perché affronta di petto e senza moralismi l’ostico tema della pedofilia (già trattato dal “collega” Todd Solondz in Happiness in chiave caustica), ma anche perché tratta argomenti non propriamente benaccetti come il desiderio sessuale, a cominciare da quello dei più piccoli, concentrandosi sulla sua oscura natura.

A questo proposito acquisisce una centralità vistosa la scena in cui Neill bambino assiste ad un rapporto sessuale tra la madre e il suo compagno, avendo il primo orgasmo. Il regista è abile ad evitare il rischio di cadere in un inopportuno moralismo, perché ignora deliberatamente la prospettiva del gruppo sociale predominante, formato dalla famiglia, dagli psicologi, educatori, mantenendo lo stesso intatto uno spietato occhio critico. Araki opta per la via narrativa più complicata ma diretta, la più sinceramente interessata ai giovanissimi protagonisti, in quanto individui e non in quanto vittime; dunque la più rischiosa sul piano etico quanto su quello teorico. Ci racconta infatti, senza fare della retorica, come uno dei due ragazzini, Neill Mc Cormick, sia sessualmente attratto dal proprio coach, portandosi questa infatuazione durante il proprio percorso di crescita e focalizzandosi poi sulle differenti reazioni che i due personaggi assumono: c’è chi introietta l’abominio subito all’interno della propria coscienza personale come Neill, e chi come Brian lo rimuove, costruendosi come armatura l’angosciante quanto geniale metafora del rapimento degli alieni, sintomo di un infantilismo cronico imperante.

Ma non per questo il regista scade nell’apologia: non c’è nel suo sguardo nessuna pietà per l’allenatore di football che commette violenza su dei ragazzini, al contrario la comprensione, la partecipazione emotiva, il lirismo e l’intensità drammatica di certi momenti, sono tutti dalla parte dei due giovani attori protagonisti. Araki, a livello drammaturgico, fa un sapiente uso della linearità e della trasparenza del testo narrativo, attraverso uno sguardo cinematografico individuale e intimo in grado di fondere insieme trasgressione, poesia, malinconia e follia. Come si può evincere dall’intensa sequenza finale dove l’autore rimane coerente al proprio intento espressivo: egli sa bene che non servono rumorose e insignificanti interiezioni sonore per creare emozione. Privilegia invece una severa educazione linguistica e stilistica che gli consente di padroneggiare con la giusta dose di sensibilità la delicata confessione che Neill fa a Brian sulla vera natura dei suoi incubi, senza comunque tralasciare l’aspetto lirico e partecipativo. Ciò è reso possibile da un linguaggio scarno e diretto che culmina in un sorprendente gesto carico di affetto: un abbraccio di amara ed eterna tenerezza tra due innocenti, vittime di una società ipocrita, che ha il pregio di cicatrizzare in modo definitivo una ferita rimasta aperta per troppo tempo. All’eversivo autore va dato il merito di aver affrontato con estrema coerenza un argomento tanto scabroso da suscitare incontrollate reazioni emotive, con il risultato, di avere fortemente condotto la diegesi all’immaginario, all’attrazione, al turbamento e all’inesausta sete d’affetto che essa stessa racconta.

L’opera presa in considerazione si distingue per un perfetto amalgamarsi tra ciò che è apparentemente più reale e autentico del nostro modo di vivere e l’elemento poetico e trasgressivo, adoperato come centro propulsore del racconto, offrendo l’opportunità allo spettatore di farsi un’idea su ciò che accade all’interno della vita sociale. Ed è proprio in questa fondamentale caratteristica che risiede il suo valore.

 


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