Senza pelle PDF 
di Andrea Bettinelli   

Rivisto a distanza di circa dieci anni dalla sua uscita, Senza pelle ci permette innanzi tutto di misurare la curva dell'evoluzione stilistica di D'Alatri, di verificare cosa sia cambiato e cosa invece sia rimasto costante nelle sue modalità di espressione. I suoi film più recenti – che sono per altro quelli di maggior successo – sono caratterizzati da un gusto per la contaminazione dei registri che apre le porte del cinema alle soluzioni tipiche del linguaggio televisivo e pubblicitario. Carrellate circolari e avvolgenti, movimenti a uscire (da una stanza o altro luogo chiuso) della macchina da presa, grande velocità di montaggio, subordinazione dell'immagine all'accompagnamento musicale: sono alcune delle marche distintive di questo stile.

In Casomai queste scelte sono legate in modo molto stretto al contenuto profondo del racconto, che infatti verte attorno al ruolo della pubblicità e della televisione nella formazione dei modelli culturali. Ma, più in generale, è una contaminazione che nasce dallo status e dalla formazione del regista nella società contemporanea. Sarebbe interessante stilare una storia del cinema sulla base della matrice culturale degli autori: alle generazioni dei registi che arrivavano al cinema provenendo chi dal teatro (Bergman, Visconti, Olmi), chi dalla letteratura o comunque da forti interessi letterari (Pasolini, Wenders), chi dalla pittura (Kurosawa, Lynch, Greenaway), chi da tutte queste discipline insieme, all'insegna di un grande eclettismo (Guitry, Cocteau); ebbene, a quelle ha fatto seguito una generazione di registi che, pur aspirando al cinema, devono per forza di necessità lavorare soprattutto per la televisione e la pubblicità.

Marco Bellocchio esordì realizzando subito un film per le sale (I pugni in tasca 1965), dopo avere studiato cinema a Roma e Londra. Gianni Amelio esordì al cinema solo nel 1983 con Colpire al cuore, dopo avere lavorato negli anni Settanta a una serie di film per la televisione (dalla Fine del gioco al Piccolo Archimede). Alessandro D'Alatri approda al grande schermo nel 1991 con Americano Rosso dopo avere realizzato negli anni Ottanta alcuni spot pubblicitari. Nella differenza tra le biografie di questi cineasti (sono nati rispettivamente nel 1932, nel 1945 e nel 1955) è forse rintracciabile uno spaccato dell'evoluzione socio-culturale del nostro cinema.

Ora, a prima vista, Senza pelle sembra appartenere a una stagione espressiva diversa rispetto a Casomai e a La febbre, a modalità narrative più tradizionali e "pure", dal sapore direi quasi arretrato. Anche la struttura narrativa sembra adeguarsi a forme canoniche, specialmente nella prima parte che si sviluppa secondo modalità tipiche del genere giallo. Eppure in qualche modo è già possibile scorgervi alcuni elementi formali che diventeranno più espliciti nelle pellicole successive, soprattutto una tendenza a fuggire dall'inquadratura fissa, a spostare sempre il quadro per imprimere movimento alla scena.

Senza pelle rappresentò un po' il caso del cinema italiano nel 1994. A Cannes fu presentato nella "Quinzaine des réalisateurs"; al Festival di Locarno vinse il premio "Giuria del Pubblico". Racconta la storia di un ragazzo disabile (Saverio, interpretato da Kim Rossi Stuart) che si innamora di una commessa delle poste (Gina, Anna Galiena) e del tentativo compiuto dalla donna di mettersi in relazione con lui. Il tentativo fallisce, l'incontro con il disabile risulta impossibile nella società di oggi così che Gina sarà costretta a fuggire dalla città, mentre Saverio troverà una via di salvezza solo in una casa di recupero dove conoscerà una ragazza.
Come in tutti i suoi film, anche in questo caso D'Alatri parte da un soggetto che deriva dall'osservazione della società contemporanea e dei suoi mali.

Questo è forse il punto costante della sua cinematografia, che nasce sempre da un'analisi attenta dell'attualità culturale del nostro paese, ricostruita con perizia documentaria e grande passione personale, tanto che in previsione della scrittura di Senza Pelle D'Alatri lavorò per un anno in una comunità terapeutica (http://www.uildm.org/dossier/cinema/dalatri.htm). In tutti i suoi film è presente un personaggio collettivo in cui si riflette un modo di pensare, un modello culturale diffuso che isola e stritola l'individuo. In Casomai sono gli ammiccamenti della televisione e della pubblicità che insidiano l'unità della coppia; nella Febbre è una cultura del lavoro aggressiva e individualistica che distrugge l'identità psicologica e morale di un impiegato. In Senza pelle, Gina non può incontrare Saverio perché tutta una società, tutto un modo di pensare si oppone all'incontro con il diverso e alla fine del film lei stessa si scopre parte di questa subcultura.

E' chiaro che un cinema di questo tipo corre il rischio di generare "film a tesi", che è sicuramente il caso – e direi anche il limite – del La febbre e di Casomai. Ma in Senza pelle il rischio è evitato, ciò che resta di questa storia delicata non è una tesi o un contenuto oggettivo, ma una poesia della diversità e della sofferenza che è disseminata per tutta la pellicola, nella colonna sonora di Moni Ovadia (che esprime bene il miscuglio di ironia e tragedia del racconto) e anche nelle immagini, in quelle sequenze di cui abbiamo parlato in cui la regia forza i propri strumenti e cerca di scavare dentro il materiale narrativo, specialmente nelle soggettive con cui D'Alatri propone una mimesi della percezione sensoriale del disagio di Saverio, e che ci appaiono non tanto la rappresentazione clinica di una patologia, ma l'espressione poetica di una solitudine che è a conti fatti quella dell'individuo che – nella società in cui viviamo – è sempre necessariamente dis-abile.

In fondo la relazione tra Saverio e Gina è un gioco di specchi in cui ciascuno si riflette nella disabilità e nella solitudine dell'altro, tanto che alla fine le loro posizioni tendono a ribaltarsi o a sovrapporsi. Come accadeva in un celebre episodio del Decalogo di Kieslowski (Non commettere atti impuri), da cui forse D'Alatri ha desunto alcuni aneddoti narrativi (l'impiego alle poste, la scena del bacio in cui il ragazzo perde il controllo) e più in generale tutto il discorso sul voyeurismo costruito sulle soggettive e sui fuori campo.

 


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