Into the Wild. La vita selvaggia di un lupo solitario PDF 
Maurizio Ermisino   

Image“Un estremista, un viaggiatore esteta, che ha per casa la strada”. Sono le parole con cui si definisce Christopher McCandless, protagonista del libro Nelle terre estreme di Jon Krakauer da cui Sean Penn ha tratto il suo ultimo, intenso, indelebile film. Ma, usando queste parole, parliamo di Sean Penn o di Christoper McCandless? La storia di Chris, si sa, è vera: è quella di un ragazzo che a ventidue anni, appena laureato, lascia tutto - donando i ventiquattromila dollari del suo fondo per il college - per partire verso l’avventura, l’ignoto, l’infinito. È una storia, quella di McCandless, ribattezzatosi Alex Supertramp (il “supervagabondo”), che ha toccato profondamente le corde di un “lupo solitario” come Penn, che ha aspettato anni pur di portare a termine questo progetto. Into the Wild è un film selvaggio, ribelle, inquieto, profondamente "contro", proprio come il suo autore. E pensare che le prime volte che siamo venuti a contatto con questa personalità così forte, più di venti anni fa, non l’avevamo capito. Più che per i primi film, come Taps - Squilli di rivolta e Il gioco del falco, Sean Penn era salito alla ribalta dei riflettori per il suo matrimonio con Madonna, e per il suo rapporto non troppo felice con i fotografi, di cui non sopportava le intrusioni nella vita privata. Ma nella vita, e nell’arte, tutto torna: cos’erano questi fotografi se non un simbolo di quella “società” da cui Chris tenta per tutto il film di fuggire? “Per non essere avvelenato dalla civiltà lui fugge nella natura selvaggia”. Il rifiuto della società che ci rende più cattivi l’uno con l’altro è il rifiuto di un modello, quello consumistico-capitalistico, simboleggiato da quegli ultimi soldi bruciati, dopo l’assegno dato in beneficenza, quei “soldi che rendono le persone sospettose”.

Rifiutare la società nell’America di oggi significa anche, e soprattutto, rifiutare la politica. Ed è in questo aspetto che l’opera di Sean Penn si fonde con la sua vita. In quella breve sequenza di Bush Senior (la vicenda è ambientata nei primi anni ‘90) che Chris/Alex vede alla tv c’è probabilmente tutto, o gran parte, del significato del film in relazione all’impegno politico di Sean Penn. Che è stato il primo nel 2001, quando ancora tutta l’America era stretta attorno al proprio presidente e alle sue decisioni, a prendere una posizione ben precisa contro le scelte del proprio paese. Nel dicembre dello stesso anno Penn si è recato personalmente in Iraq per documentare e denunciare le conseguenze delle sanzioni americane sul popolo iracheno. “Non l’amore, non i soldi, non la fama, non la giustizia. Datemi la verità” è la frase di Thoreau che sentiamo nel film, e che sembra il credo che anima le posizioni politiche di Penn. Posizioni scomode ancora oggi, e forse è per questo che Into the Wild è stato pressoché ignorato nell’agone conformista degli Oscar. Vedere un Bush in carica quindici anni fa è un segnale preciso che il tempo sembra non essere passato, che gli errori sono destinati a ripetersi, che il sistema è tale da non dare via d’uscita. “La rabbia per me è una sorta di combustibile” ha raccontato alla Festa del Cinema di Roma, “e quando la stupidità raggiunge un volume troppo alto mi scatta la rabbia”.

Image“Io credo che la carriera sia un’invenzione del ventesimo secolo” dice Chris/Alex. E ci sono altre due sequenze fondamentali per capire il rapporto tra questo film, l’indole di Sean Penn e la società odierna. La scena in cui Alex guarda uno yuppie in giacca e cravatta e per un attimo vede sé stesso in quei panni, vede quello che sarebbe potuto diventare senza una scelta così radicale. La sua scelta di andare controcorrente è anche quella di rifiutare il modello borghese carriera/soldi/famiglia, soprattutto se, come nel suo caso, la famiglia è fonte di ipocrisia e dispiaceri. “Io non credo al pregiudizio di sangue, al fatto che noi abbiamo un debito verso i familiari: i sentimenti si devono guadagnare” ha dichiarato Penn. “E, comunque, credo che ogni figlio debba fare ciò che è necessario: compreso il cambiare pelle, rispetto ai genitori. Per poter sentire che la vita ci appartiene”. Un’altra sequenza simbolica è quella in cui Alex, per guadagnare qualche soldo da destinare al suo viaggio verso l’agognata Alaska, lavora in un fast food stile McDonald’s. È un altro aspetto della deriva consumistica dell’odierna società americana, che rende ancora più stridente il contrasto tra civiltà e natura, tra regole e libertà. Specialmente se confrontata con le scene di caccia girate in Alaska, con quell’alce squartato e destinato a decomporsi. L’indole ribelle di Penn va ricercata anche in alcuni dei ruoli che ha scelto di interpretare come attore sul grande schermo. A partire da La sottile linea rossa, uno dei film bellici più poetici e sentitamente pacifisti, fondato sulla compassione per il nemico e sul rispetto per la natura (sì, ancora la natura). O da quell’esempio di umanità che è Dead Man Walking, il film di Tim Robbins contro la pena di morte. Per arrivare a uno dei suoi ultimi film, Tutti gli uomini del re, in cui interpreta il ruolo di un politico populista e corrotto. Guerra, pena di morte, personalizzazione della politica. Se ci pensiamo sono tre attacchi ad aspetti fondanti del sistema americano di oggi. Che forse, più di ogni altro film in cui Penn ha recitato, è rappresentato da Mystic River, dove si racconta di un sistema alla ricerca di un capro espiatorio che permetta di lavare i peccati della comunità. E la lotta contro il sistema di Penn continuerà anche nei prossimi Crossing Over, che racconta storie di vari immigrati alle prese con le difficoltà legate ai permessi di soggiorno, e Milk, di Gus Van Sant, sulle lotte per i diritti dei gay.

ImageAl pari di McCandless, molti dei ruoli di Penn sono sospesi tra la vita e la morte, come l’indimenticabile malato terminale di 21 grammi. Ed è un film dove vita e morte si uniscono anche l’episodio che il regista e attore americano ha girato per il film collettivo 11 settembre 2001, proprio la tragedia che avrebbe portato a quelle guerre recenti a cui Sean Penn si sarebbe opposto con fervido impegno. Il racconto è quello di un vecchio che continua a parlare con la moglie morta da tempo. Fino a che non avviene un miracolo: le torri che cadono lasciano filtrare il sole dalla sua finestra e una pianta appassita riprende a vivere. La sensibilità di Penn è quella di trovare un attimo di gioia e di vita in un momento di morte. È quello che riesce a fare anche con Into the Wild, un film dove vita e morte si sfiorano spesso, ma che trasuda una vitalità è una libertà non comuni. “I giovani sono schiavi del benessere”, ha dichiarato Penn a Roma. “Non sto invitandoli ad affrontare situazioni estreme, ma a far battere il cuore più velocemente”. Ci è riuscito alla perfezione.

 


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