Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 1999 PDF 
di Dante Cruciani   

La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro ha compiuto 35 anni ed ha cambiato alcuni dettagli della sua organizzazione interna. Adriano Aprà, pur restando nel comitato ordinatore, non è più il direttore del Festival, che ora ha a capo Andrea Martini. Questo cambio non ha prodotto alcun mutamento di indirizzo nella filosofia della Mostra, sempre attenta a tutti i fermenti cinematografici mondiali, soprattutto quelli meno conosciuti, in modo da riuscire a considerare e catalogare le varie tendenze mondiali, permettendo, al contempo, di recuperare tutta una serie di produzioni che altrimenti si perderebbe nei meandri del non distribuito perché non remunerativo. Come il cinema di Joao Cesar Monteiro, ad esempio.

Già lo scorso anno Pesaro aveva proposto Le bassin de J.W., ennesimo delirio filosofico/esistenzial/cinefilo del singolarissimo regista portoghese, ed aveva mostrato una pellicola ricchissima, densa di sapienza cinematografica e di capacità organizzativa davanti all'obiettivo della macchina da presa. Inutile dire che il film non è mai stato distribuito in Italia, sorte che potrebbe seguire anche il lavoro di Monteiro presentato nella rassegna pesarese di quest'anno, As bodas de Deus, terza parte della trilogia che ha il suo protagonista in Joao de Deus (lo stesso Monteiro), iniziata con Ricordi della casa gialla (1989) e continuata con La commedia di Dio.

Ancora una volta l'estroso cineasta offre la sua particolare visione del mondo e la singolare, e tutta portoghese, concezione del cinema fatta di lunghissimi piani fissi dove lo spazio si anima internamente all'inquadratura, la quale si trasforma in un vero e proprio contenitore in cui il dinamismo e la fluidità dei corpi sono al servizio dell'assurda maschera tragica del regista-attore-personaggio, vero motore della narrazione con i suoi atti strampalati (salva una donna dall'annegamento spingendola davanti a sé sulla superficie dell'acqua perché troppo pesante per il suo povero corpo sempre più consunto; stacca una grossa fronde da un albero solo per poter orinare senza che la macchina da presa turbi la sua privacy), le sue battute sagaci, sarcastiche (dona cento escudos ad un tizio dicendogli: "...e non li spendere tutti con le suore!"; dopo aver copulato per errore con un grosso cuscino, fa seguire la battuta "tutti possono sbagliare", disse il porcospino dopo essere sceso da una spazzola") e blasfeme (risponde "meglio soli che mal accompagnati" ad una monaca che gli aveva augurato "che Dio ti accompagni!"). As bodas de Deus (la cui traduzione è "le nozze di Dio") è un percorso di formazione cialtronesco, in cui un vagabondo (Joao de Deus) si arricchisce grazie ad un cospicuo lascito donatogli da un inviato di Dio. A questo punto il clochard fa parte di un'altra categoria sociale e comincia ad industriarsi per trovare moglie. Dopo varie peripezie e differenti tentativi ed aver conosciuto l'onta della prigione, il povero Joao prenderà coscienza della donna che fa per lui citando la frase finale ("Che strano cammino che ho dovuto fare per arrivare fino a te!") proferita da Martin Lassalle a Marika Green in Pickpocket di Robert Bresson.

Gusto per la citazione (anche Mallarmé e Straub-Huillet sono presenti nel film, solo per fare due tra gli esempi possibili), squisiti quadretti surreali (un pazzesco balletto al suono di E lucevan le stelle - con Joao abbarbicato alle grate della finestra della cella - che sottolinea, oltre al sapido gusto per il paradosso, anche la portata culturale dell'opera, con il puntuale e simbolico parallelismo con la dolorosa prigionia di Mario Cavaradossi a Castel S. Angelo, nella Tosca di Puccini), grotteschi contrasti che generano disagio (il rapporto sessuale tra l'esageratamente scheletrico personaggio e la muliebre e soda bellezza dell'attrice portoghese Joana Azevedo) e ricercato equilibrio nella composizione dell'inquadratura (grazie ad una meditata simmetria della messa in quadro e alla sublime fotografia di Mario Barroso, in grado di esaltare toni e colori per una sovradeterminazione del significato) sono i caratteri fondamentali di una poetica complessa, estrosa e duttile che potrà non essere apprezzata appieno nel nostro paese, abituato ad altri sviluppi narrativi e a differenti modalità realizzative, ma che indubbiamente rappresenta una delle punte più alte e suggestive raggiunte dal cinema europeo degli ultimi anni.

Oltre a Sicilia! di Straub e Huillet, tratto da Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, L'autre di Youssef Chahine e Juha di Aki Kaurismaki, ha colpito l'attenzione del pubblico anche Trois ponts sur la rivière del regista francese, nonché caporedattore della rivista "Trafic", Jean-Claude Biette. Film che si dipana attraverso luoghi differenti (Parigi, Lisbona e soprattutto Oporto), secondo un criterio di narrazione che perde la sua forza d'azione a vantaggio della pervasività dei luoghi (che incidono al punto da caratterizzare gli stessi comportamenti e le personalità dei personaggi) e delle psicologie, pressanti ed ingombranti a scapito di un minimalismo del racconto che si alimenta di sensazioni, gesti, dubbi, ambiguità e paure delle figure che si muovono sullo schermo.

Una storia d'amore, anzi di re-mariage (visto che i due protagonisti hanno già vissuto insieme nel passato diegetico ma non mostrato dal film), come la ha definita lo stesso Biette, che sottolinea l'impossibilità e la difficoltà nel tendere verso un ideale illusorio che non garantisce risposte ma solo patimento e afflizione.

A George Franju, regista e fondatore nel 1936, insieme a Langlois, della "Cinématheque française", ad Arthur Penn e ad Ernie Gher, cineasta sperimentale molto vicino alle posizioni strutturaliste di Michael Snow, erano invece dedicate le consuete retrospettive della Mostra. Se film come Le sang des bêtes, Hôtel des Invalides, Les yeux sans visage (Franju), Bonny and Clyde, Little Big Man e Alice's Restaurant (Penn) sono patrimonio di qualunque cinefilo, lo stesso non si può dire per i lavori del newyorchese Gehr, autore di Serene Velocity, Side/Walk/Shuttle, Rear Window, pellicole dove l'attenzione si sposta sulle modalità della visione, sulle caratteristiche attraverso cui il film si crea e si mostra.

 


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