Speed Racer PDF 
Viviana Eramo   

ImageViene da domandarsi dove stia andando il cinema. Ammesso che Speed Racer lo sia. Viene da chiedersi se l’ultimo film dei fratelli Wachowski, che tornano dopo la trilogia di Matrix, sia a diritto l’ultimissima tappa di un cinema postmoderno sempre più contaminato e ibrido, o se sia invece solo un giocattolo luccicante costato troppi soldi. Quando si ragiona su film come questi, bisogna ammetterlo, il sottilissimo senno di poi rischia di stroncare la novità senza vederci l’innovazione. Tuttavia, almeno un paio di osservazioni su Speed Racer si possono fare con la sufficiente sicurezza di non essere smentiti alla luce di altri cinque o più anni di cinema.

La grafica digitale, prima di tutto. Il lavoro imponente di veri e propri colossi come Light & Magic e Sony Imageworks, supervisionati dal premio Oscar John Gaeta, ha partorito, ad esempio, sfondi straordinari e iperrealistici di località (anche italiane come il lago di Como) attraverso la tecnica ribattezzata "bubble technology" - che permette di riprendere in alta definizione a 360° - e ha consegnato,  attraverso la fotografia virtuale, una perfetta nitidezza sia agli sfondi che ai soggetti in primo piano, in pieno stile cartoon. Ci pare però che la rivoluzione grafica davvero degna di nota sia quella che prevede lungo l’intero arco del film una sorta di montaggio tutto interno all’inquadratura d’ispirazione anime, cartoonesca e fumettistica. Ovvero l’uso costante di quella che è la ormai obsoleta tendina che in Speed Racer passa per mezzo degli stessi personaggi che scorrono da una parte all’altra del quadro trascinando con loro la nuova inquadratura. Come suo solito, il digitale torna al vecchio e così facendo lo (ri)carica di potenzialità espressive diverse. Questo tipo di montaggio, qui, non solo sostituisce la “classica” sequenza alternata, ma, soprattutto nella prima parte, fa muovere il film sui due assi temporali del presente e del passato facendo convivere nella stessa inquadratura i personaggi al presente e i loro ricordi, come succede spesso nei fumetti e nei cartoon. Un dialogo tra passato e presente, del resto, che si intravede anche in altre scelte, come quella di visualizzare i grand prix d’epoca nella maniera canonica, attraverso l’effetto seppia della fotografia. Come a dire che i Wachowski si prendono la libertà di rivoluzionare il presente e il futuro dell’immaginario visivo, ma quando guardano al passato non possono permettersi di intaccare quello esistente e condiviso.

Tuttavia, le soluzioni visive d’eccezione, i mirabolanti combattimenti tra auto che lottano a suon di urti, sferragliando vere e proprie armi speciali - si vede addirittura spuntare fuori un braccio meccanico che scaglia nell’abitacolo dell’auto avversaria un alveare fitto di api -, i voli pindarici su piste che si sviluppano anche in altezza e sullo sfondo di situazioni climatiche differenti, proprio come in un videogame, abbagliano (e assordano) lo spettatore per un piacere fatto tutto di sensi, tanto notevole quanto estemporaneo. Dov’è l’epos, il mito, quella pulsione arcaica che dovrebbe spingerci a tifare per il protagonista e farci saltare sulle poltrone ad ogni piroetta e snodo narrativo? Lastricato di fosforescenti intenzioni, il film finisce per girare su se stesso abdicando a quel fulgente coinvolgimento dello spettatore a cui aspirerebbe. Il nostro protagonista (Emile Hirsch) è l’erede della memoria di suo fratello morto durante una corsa di rally, pronto a riscattarne l’onore in un mondo senza scrupoli che scopre dolorosamente fatto di macchinazioni economiche. Arriva poi un misterioso personaggio mascherato (il Matthew Fox di Lost), che lo incoraggia nel suo destino. Il tutto scolasticamente costruito sulla stereotipata contrapposizione tra i valori genuini della famiglia di Speed (Susan Sarandon e John Goodman), artigiani di un’impresa tutta tra le mura di casa, e i valori del profitto di una mastodontica e insolente industria che vorrebbe mettere le mani sul  nostro mago del volante. Certo, va detto, il film è ispirato alla serie tv di anime giapponese degli anni Sessanta, Go Go Match 5 firmata Tatuo Yoshida, e ne ripete fortemente la vocazione tutta orientale, attraverso le parentesi buffe affidate al piccolo fratello di Speed, con tanto di scimmia al seguito, e i combattimenti ispirati al kung fu. Che un dodicenne di oggi possa trovare davvero interessante una storia come questa, non saremmo pronti a scommetterci, soprattutto alla luce dei plot stratificati dei film d’animazione - della Fox o della Dreamworks per esempio - a cui di sicuro è abituato. Men che mai l’interesse potrà salire in un pubblico adulto. Non che sia necessario legare il giudizio del film al suo indice di gradimento, ma che il costosissimo Speed Racer sia stato un flop a livello planetario dovrà pure significare qualcosa.

Evviva il cinema postmoderno e la sua contaminatio, la computer graphic e ciò che rende possibile, ma la speranza è che questi siano veicoli ed essi stessi generatori sempre e comunque di un’idea (nel senso più ampio), come accadeva in Matrix, tanto per restare nella blindatissima ditta Wachowski. Se il videogioco uscito contemporaneamente al film e curato esso stesso da Gaeta avrà più successo, avremo, a maggior ragione, qualcosa in più su cui riflettere.


TITOLO ORIGINALE: Speed Racer; REGIA: Andy Wachowski, Larry Wachowski; SCENEGGIATURA: Andy Wachowski, Larry Wachowski; FOTOGRAFIA: David Tattersal; MONTAGGIO: Roger Barton, Zach Staenberg; MUSICA: Michael Giacchino; PRODUZIONE: Usa; ANNO: 2008; DURATA: 129 min.

 


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