La Vie des morts PDF 
Marianna Marino   

Una famiglia si riunisce in una vecchia e grande casa della provincia del nord francese a causa del  tentato suicidio di un cugino, Patrick, che resterà invisibile per tutta la durata del mediometraggio di esordio di Arnaud Desplechin. Esordio e al contempo opera germinale, che introduce tematiche e volti che diventeranno emblematici di questo autore: la vicenda e le atmosfere dell'ultimo Conte de Noël (2008), per esempio, riprendono esplicitamente questa prima opera (sostituendo al suicidio la malattia della madre e il rito cristiano). Si tratta di un duplice ritorno all'origine per l'autore: la famiglia disfunzionale del suo Racconto di Natale si riunisce infatti a Roubaix (cittadina del Nord-Pas de Calais, dove  Desplechin è nato).

La Vie des morts fu presentato alla “Semaine de la critique” a Cannes, ottenne il premio Jean Vigo (assegnato fin dal 1951 ai giovani registi che si distinguono per una certa personalità di stile) e fu anche distribuito in sala. Come già detto, partecipano al film molti degli attori con cui Desplechin  lavorerà in seguito. Innanzitutto, Marianne Denicourt, attrice fissa fino a Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle) del 1996 ed ex-compagna del regista, una storia la cui fine ebbe strascichi arricchiti da polemiche e tribunale a causa di Rois et Reine, in cui l'attrice vide la citazione non autorizzata e malevola di sue vicende personali. Sono presenti, inoltre, Emmanuel Salinger (protagonista del successivo La Sentinelle), Thibault de Montalembert ed Emmanuelle Devos. Al casting ritroviamo invece Noémie Lvovsky, compagna di studi all'IDHEC (come Salinger), cui il regista continuerà a restare legato da amicizia e collaborazioni professionali. L'elemento biografico permea così in misura importante ogni aspetto dei film di questo autore. Malgrado una nutrita compagine di personaggi, il vero protagonista de La Vie des morts è la famiglia, considerata come entità a geometria variabile, pronta ad allargarsi per accogliere nuovi membri (Laurence, fidanzata di uno dei cugini – Bob – è presentata ai parenti in questa occasione). La casa si anima e si riempie di giacigli per preparare la chambre des cousins. La scelta di concentrare l'attenzione sui parenti meno prossimi è motivata (è lo stesso Desplechin a dichiararlo) dalla volontà  di presentare i testimoni della tragedia, piuttosto che le sue vittime. I fratelli di Patrick si intravedono durante la partita di calcio, mentre sua madre si fa carico di un breve e duro mea culpa: “Quand quelqu'un de cet âge meurt, c'est un assassinat. Il faut chercher le coupable. Il est vrai que je suis la coupable la plus proche: je suis sa mère”. L'intenzione dell'autore è quindi quella di indagare in special modo le periferie del dolore, il modo in cui la sua intensità si scontra con le distanze affettive. I cugini trascorrono i tre giorni di attesa fumando canne, conversando, giocando: non perché la catastrofe non li tocchi, ma perché essa non riesce a esprimersi in modo diretto (così in Pascale – M. Denicourt – il dolore e le preoccupazioni trovano uno sfogo fisiologico).

La famiglia, come la casa, possiede un aspetto organico piuttosto accentuato: osmosi e promiscuità sono le caratteristiche fondamentali del vivere comune. È tuttavia possibile individuare all'interno di questo insieme vari strati e gruppi: i cugini e le cugine, le madri-sorelle, i padri che sono soprattutto intermediari con l'esterno (che è sempre, quotidianamente, l'ospedale, luogo diametralmente opposto alla casa, sempre invisibile, ma sempre presente nelle parole dei parenti, pur restando distante e misterioso). La macchina da presa indugia spesso su interni e oggetti, inquadrati sempre in composizioni sobrie e quasi cézanniane, opponendo la quiete dell'inanimato alle cellule impazzite degli inquilini. La casa è lo spazio della sospensione in cui oscilla per qualche giorno lo stesso Patrick. La tragedia incombente scoppia, di soppiatto, alla fine. Il cugino suicida muore all'alba, mentre Pascale, contemporaneamente, perde sangue: sangue che mette fine ai malesseri che l'avevano colpita all'inizio della vicenda (nausee e vomito). Come spiega Desplechin, durante una conversazione con Jean Douchet, Pascale porta dentro di sé la morte del cugino, che riesce infine a “partorire” mettendo termine alle ansie e alla sospensione. Il film si conclude sul movimento leggero della ragazza che esce di scena, lasciando disabitata la cucina della grande casa nella sua luce bluastra. I processi di allargamento e inclusione riguardano anche e soprattutto i defunti. Yvan (un altro cugino) dice a Laurence (che è in fondo l'intrusa della situazione): “C'est une famille des morts”, una famiglia abituata alla morte (e alla follia dei vivi). I morti definiscono, in negativo, lo statuto del nucleo familiare, ne modellano il solido instabile e fagocitante. Ad esempio, Patrick, il morente, compare nel film soltanto attraverso la radiografia della sua testa (un cranio con tre pallottole fatali), anticipando in qualche modo il primo lungometraggio di Desplechin (La Sentinelle, realizzato l'anno seguente), dove una testa più anonima stravolgerà la vita del protagonista. La famiglia si individua sia per i suoi componenti viventi che per quelli scomparsi, poiché la loro sparizione ha modificato i rapporti tra gli elementi superstiti. La vicenda si trasforma così quasi in uno studio di laboratorio (senza freddezza, ma al contempo senza compiacimento). Lo sguardo mantiene un approccio di osservazione partecipe, ma tutto sommato scientifica, sperimentale.

Morte e memoria si impongono dunque per Desplechin fin dai suoi primi passi cinematografici, per continuare a intrecciarsi nelle altre sue opere. Queste tematiche vengono affrontate non nell'ottica di una liberazione dal passato, ma di un'elaborazione del lutto che permetta di convivere con i suoi risvolti anche più dolorosi. Per citare le parole di Ismaël (Mathieu Amalric) a Elias nel finale di Rois et Reine (2004): "il passato non è ciò che scompare, ma ciò che ci appartiene". Il nodo che può strozzare di dolore è quello che ci tiene insieme.

TITOLO ORIGINALE: La Vie des morts; REGIA: Arnaud Desplechin; SCENEGGIATURA: Arnaud Desplechin; FOTOGRAFIA: Eric Gautier; MONTAGGIO: François Gédigier, Laurence Briaud; MUSICA: Marjolaine Ott, Fitz Sommer, Oliver Sommer; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1991; DURATA: 54 min.

 


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