TOFIFE 2005/Omaggio a Walter Hill PDF 
di Christian Olivo   

Chissà cosa avrà pensato Walter Hill, uomo dai modi gentili, pacato, formale quanto il suo cinema, nel vedere una folla tanto scalpitante alla proiezione del director's cut de I guerrieri della notte, tale da spingere l'ottima macchina organizzativa a replicare a tarda notte la pellicola. Indubbiamente la sua opera più commercialmente riuscita - la sua tombstone a prescindere -, I guerrieri della notte ha qui avuto, tra gli altri, il merito di avvicinare una gran fetta di pubblico, quella che per anni non lo aveva (a torto) eletto a massimo esponente dell'action d'oltreoceano, alla sua opera omnia: dall'esordio, solido anticipatore della poetica del regista, de L'eroe della strada (1975), passando per i capolavori Driver l'imprendibile (1978) e I guerrieri della notte (1979), senza dimenticare i tre episodi realizzati per la serie televisiva Racconti della cripta (1989-91) e soprattutto Getaway! (1972) e Alien (1979) di cui è stato sceneggiatore, per arrivare ancora una volta al piccolo schermo per il quale sta ultimando le riprese di Broken Trail (anticipato alla stampa con il titolo Daughters Of Joy), di cui Hill ha regalato al pubblico torinese un notevole e promettente assaggio.

Un ritorno che lo è solo nel mezzo - non certo per il sottotesto, il western, che da sempre ha segnato i suoi film -, si tratti di Strade di fuoco (1984), serrata quanto inedita contaminazione tra action e musical, quasi il capostipite dei videoclip, o della sua espressione più pura come per Wild Bill (1995). Già, perché come ricorda il sessantatreenne regista nel lungo incontro con il pubblico "tutti i miei film sono western. Quando ero bambino ho avuto l'imprinting del western. Li guardavo e li riguardavo in continuazione e sono i miei film preferiti ancora oggi. È la narrativa semplice ed elegante ad affascinarmi ed è proprio questa efficace essenzialità che cerco sempre di replicare nei miei film". Un'essenzialità sofisticata, la sua, fatta di continui scontri-incontri tra classicità e avanguardia, tra archetipo e nuovi orizzonti. Scorrendo la sua filmografia, emerge una produzione molto variegata che nell'assimilazione e restituzione dei generi cinematografici trova il suo punto di forza.

Un cinema di genere, quindi, che non smette di essere tale neppure nella sua formalità autoriale di sviluppo filmico e di ricerca del/nel personaggio. È innegabile quanto Hill sia tormentato dallo studio di un codice comportamentale che ha proprio nel western la sua connotazione più radicata, ed è lo stesso Hill a spiegare tale fascino: "La società in quel periodo non era organizzata e strutturata come quella di oggi, per questo gli individui dovevano risolvere da soli i propri problemi, aldilà dello Stato, della giustizia. Ecco, il western pone l'individuo di fronte ai suoi problemi, di fronte a scelte morali. In questo senso è il genere che più si avvicina alla tragedia greca". Non solo profondità, quindi, ma soprattutto liricità dei valori, come ben figura nel minutaggio proposto di Broken Trail, con un sempre sorprendente Robert Duvall. Le distese dell'ovest americano contrapposti all'intimo raccoglimento delle piccole grandi tragedie della vita sembrano richiedere spazi di ben altro respiro rispetto a quelli che può offrire il piccolo schermo. A tal proposito un particolarmente sobrio Hill, stimolato da una delle tante domande postegli, traccia quelli che potrebbero essere i nuovi orizzonti del cinema: "L'industria preferisce film fisici e con molto mordente. Il prossimo cambiamento che ci attende, e che sta già avvenendo, riguarda la fruizione dei film, con la tecnologia che permette visioni casalinghe altamente sofisticate, oppure sul pc o addirittura sul cellulare".

Una fabbrica dei sogni non più tale, insomma, volta ormai all'omogeneità di un prodotto che soddisfi le casse prima dello spirito. Difficile quindi non cogliere l'amarezza di un uomo che per l'intera carriera ha proposto al (suo) pubblico un punto di vista forte, realmente ed efficacemente comunicativo. Una nostalgia passionale che non nega la proverbiale idiosincrasia del regista nell'affermare che "fare film per il pubblico è uno spreco di tempo. Non resta quindi che farli per se stessi". E per quella folla che in una Torino sempre più amata ha (ri)scoperto Walter Hill.

 


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