Ogni inquadratura è una questione morale: affinità e divergenze tra cinema e graphic novel PDF 
Matteo Marelli   

Il cinema, in questo momento storico, appare come un  mezzo di comunicazione sconfitto, residuale; ha perso quella grande incidenza che aveva sull’immaginario collettivo. Ma proprio per questa sua momentanea posizione di marginalità può paradossalmente rappresentare un interessante punto di osservazione sull’universo in mutazione dei media. Ciò che caratterizza il cinema di oggi è un’estrema varietà di formati, ma soprattutto una tensione verso forme testuali aperte e flessibili. Si rivolge con disinvoltura alle contaminazioni con le altre espressioni visive. Ne è dimostrazione la sempre più frequente attenzione indirizzata all’universo del graphic novel.

Riuscire a offrire un quadro esaustivo sull’argomento sarebbe solo una presuntuosa ambizione, anche se il graphic novel è ancora nella fase della sua prima espansione. La sola operazione possibile è forse quella di fornire delle rotte indicative, consci dell'estrema difficoltà nell'analizzare e rendere conto di un magma difficilmente comprimibile e in continua dilatazione. Persino provare a redigere solo un elenco dei film tratti dai “romanzi grafici”, come li ha definiti Oreste Del Buono, appare un lavoro improbo. Come Goffredo Fofi, siamo convinti che il graphic novel sia, oggi, tra le forme espressive più vitali (1). Sicuramente ora impostosi come fenomeno di tendenza sul mercato editoriale per volontà del marketing, non si può però non ricordare che questa moda è figlia di un percorso storico complesso, le cui contraddizioni non cancellano le ragioni - artistiche, culturali e sociali - della nascita del termine.

La paternità dell’espressione è di Will Eisner ed è da ricondurre all’uscita di Contratto con Dio. Eisner era mosso dall’esigenza di trovare una definizione che riuscisse a esprimere quello che la sua opera voleva essere, ed è stato: vero e proprio manifesto di una nuova forma d’espressione letteraria. Derivante dal fumetto ma capace di smarcarsi dalla scarsa considerazione che l’industria culturale, ma anche la stessa industria di settore, era solita riconoscere a questa forma espressiva. La lettura di fumetti era considerata un segno di modestia intellettuale, e proprio per questo gli editori erano soliti non incoraggiare né promuovere una produzione più qualificata. Eisner dimostra che anche per chi realizza fumetti la scelta di un’inquadratura, come dicevano i registi della Nouvelle Vague, può diventare una questione morale, il risultato di un’ispirazione e di una convinzione. Con il grapich novel anche il fumetto può ambire alla stessa credibilità e influenza culturale di un romanzo. Perché proprio come un romanzo è un’opera compiuta che contiene una sua unità narrativa; racconta un’unica storia completa, con un inizio, un mezzo, e una fine. Sono creazioni uniche intimamente legate al nome, alla sensibilità e allo stile individuale dell’autore. Il fumetto, così, si libera dal vincolo dell’uscita settimanale, giogo dettato da esigenze di mercato sotto al quale spesso patisce la qualità e l’originalità del racconto, e può finalmente affrontare di petto situazioni drammatiche senza compromessi e censure (Maus, ma anche In the Shadow of No Towers di Art Spiegelman sono opere che chiunque abbia seriamente a cuore la storia recente e voglia onestamente confrontarsi con due dei suoi grandi drammi non può esimersi dal considerare). Un autore come Alan Moore - Watchmen; V for Vendetta; From Hell; The League of Extraordinary Gentlemen -, ad esempio, ha costantemente coniugato le sue storie ad attente e precise riflessioni critiche circa scopi, fini, limiti e meccanismi di funzionamento del mezzo fumetto, favorendone così la trasformazione da mero passatempo per adolescenti a opera di pensiero e d’indagine sulla società contemporanea.

Certo, come fa notare Marco Marcello Lupoi, direttore editoriale della Panini Comics, se applicassimo con rigidità la definizione originale del termine, taglieremmo fuori una quantità eccezionale di opere che possono anche essere state pre-pubblicate o serializzate, ma che come concezione dei loro autori dovevano costituire fin dall’inizio un unicum narrativo, di formato, di storia. Per rendere quindi più funzionale l’espressione, è doveroso almeno accettare che un graphic novel possa avere avuto una pre-pubblicazione seriale, purché, l’autore o gli autori l’abbiano sempre concepito come un “romanzo” completo, come un qualcosa da raccogliere poi in libro. Come afferma Daniele Barbieri “il cinema è stato per il fumetto un riferimento fondamentale” (2). Tra i due media esistono da oltre un secolo rapporti significativi. Sono contemporanei: la nascita ufficiale del cinema, che corrisponde alla prima proiezione pubblica che i fratelli Lumière effettuarono a Parigi nel Salòn Indieu del Grand Cafè sul Boulevard de Capucines il 28 dicembre 1895, precede di qualche mese quella del fumetto, con la comparsa del personaggio The Yellow Kid sul quotidiano New York World. Era infatti il 16 febbraio 1896 quando Richard Felton Outcault pubblicava la prima tavola di quello che viene ritenuto ormai simbolicamente il primo eroe dei comics. I primi esempi di serializzazione cinematografica degli anni Trenta cominciano proprio con l’adattamento a costi ridotti dei personaggi e degli intrecci dei fumetti.

“Cinema e fumetto”, scrive Francesco Galofaro “sono due semiotiche da sempre in stretto contatto” (3). Uno studio sulla traduzione intersemiotica tra cinema e fumetto è una possibile indagine dei rapporti tra i due sistemi segnici. Tra cinema e fumetto non si riscontra solo la traduzione di storie intere o di strutture narrative. Anche singoli elementi, come le scelte enunciazionali, gli  espedienti ritmici, circolano tra le due semiotiche. Tutto il fenomeno fumetto nella sua complessità, dunque graphic novel compreso, è stato fortemente influenzato e contaminato dal linguaggio cinematografico. Tecniche di montaggio di derivazione cinematografica sono ormai parte fondante della grammatica fumettistica: basti pensare all’impiego del campo/controcampo, spesso usato nei dialoghi per mostrare alternativamente i soggetti coinvolti, o la soggettiva; altri prestiti cinematografici sono il montaggio analitico, che suddivide uno spazio unico in inquadrature diverse, e il montaggio alternato per presentare fatti che avvengono contemporaneamente però in luoghi diversi. Il cinema ha fornito al fumetto le regole tramite cui il movimento diviene storia e racconto, permettendogli di elaborare le complesse soluzioni strutturali che hanno portato alla nascita del graphic novel. E il graphic novel a sua volta è stato capace di imporsi come una delle più compiute espressioni del postmoderno. Quelle che possiamo indicare come sue caratteristiche fondanti sono i termini chiave che Stefano Calabrese (4) ha indicato per decifrare la postmodernità: il double coding, ovvero l’ibridazione di due o più registri formali; la metannaratività; e, soprattutto, l’interattività. Con il graphic novel, spesso giocato sullo scardinamento della cronologia, quindi strutturato sulla simultaneità piuttosto che sullo sviluppo lineare della narrazione, spetta al lettore riorganizzare l’ordine degli eventi e la loro percezione; al suo occhio è chiesto di percorre lo spazio/pagina in direzioni che possono anche non essere governate da un senso di tipo vettoriale. Così facendo, cioè eclissando in parte la lettura orizzontale dei testi in favore di quella verticale, il graphic novel in un certo senso ha anticipato quella che è la morfologia del web, producendo testi non sequenziali, manipolabili dal lettore.

Ed è su questo aspetto che una grossa parte di cinema mostra la sua arretratezza, in particolare proprio quello che si ispira ai graphic novel, che sembra aver accolto le sue potenzialità solo tangenzialmente. L’industria cinematografica tende a vampirizzare il complesso tramico senza però preoccuparsi di elaborare soluzioni linguistiche affini al nuovo meccanismo narrativo. Non si sono ancora registrati contributi reali a una nuova estetica dei film. I film che fino ad ora si sono confrontati con i graphic novel sono stati capaci soltanto di riproporre modelli strutturali stereotipati e canovacci vecchissimi; l'interattività trova difficoltà insormontabili ad applicarsi al flusso delle immagini, che impediscono scelte da parte dei fruitori. Il cinema sembra momentaneamente incapace di elaborare nuove soluzioni narrative e strutturali. Come fa notare Lev Manovich, il linguaggio cinematografico, nella maggioranza dei casi, si organizza ancora attorno ad un modello di narrazione sequenziale, una catena di montaggio di inquadrature che appaiono sullo schermo una dopo l’altra: “La prassi cinematografica del Novecento ha elaborato delle tecniche complesse di montaggio, in cui le diverse immagini si sostituiscono a vicenda nel tempo; ma la possibilità di quello che si può chiamare “montaggio spaziale” di immagini coesistenti non è stata esplorata altrettanto sistematicamente” (5).

Non è, quindi, sempre il fumetto a dover inseguire il cinema, nel tentativo di ovviare i propri limiti espressivi. Ora sta succedendo il contrario, è il graphic novel che dovrebbe riuscire a influenzare le dinamiche cinematografiche imponendo alcune caratteristiche finora poco diffuse sul grande schermo, a far capire che: “oggi ci troviamo nell’epoca della simultaneità: siamo nell’epoca della sovrapposizione, l’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, della dispersione … la nostra esperienza del mondo non è più quella di una lunga vita che si sviluppa nel tempo, ma quella di un network che unisce dei punti e li mette in connessione” (6).

Note:
(1) Goffredo Fofi, Lunga vita al romanzo a fumetti, Il Messaggero, 30 agosto 2007
(2) Daniele Barbieri, I linguaggi del fumetto, Bompiani, Milano 1991
(3) Francesco Galofaro, Dal cinema al fumetto tra enunciazione ed enunciato, in Daniele Barbieri (a cura di), La linea inquieta. Emozioni e ironia nel fumetto, Melteni, Roma 2005, p.157
(4) Stefano Calabrese, www.letteratura.global. Il romanzo dopo il postmoderno, Einaudi, Torino 2005
(5) Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Milano 2002, p.395
(6) Michael Foucault, Dits et escrits, vol I, New Press, New York, 1997, in Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Milano 2002, p.399.

 


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