Il problema più grosso per una persona che intende cominciare un qualcosa di cui sa poco o niente è trovare una buona fonte che possa indirizzarla nella giusta direzione, un punto di partenza, un po' d'ispirazione; Tutto il cinema di Hong Kong di Alberto Pezzotta (Baldini & Castoldi, 1999) rientra a pieno diritto tra i libri che riescono a soddisfare tutte le curiosità di quel neofita un po' disorientato che sente che dietro alle centinaia di locandine coloratissime ed esotiche c'è un cinema pulsante e vasto che attende soltanto di potersi mostrare.
Ed é proprio per chi vuole iniziare a scoprire questo mondo che il libro e' indirizzato (e consigliatissimo… parola del neofita di cui sopra).
Profilo storico, stile e realtà, caratteri originali e profili sono le quattro sezioni in cui si snoda un discorso di poco più di quattrocento pagine che mette finalmente chiarezza laddove qualche amico o qualche voce di corridoio sulla rete aveva fatto un po' di confusione, ed è tra queste pagine che si analizzano macro-caratteri ed innovazioni stilistiche sempre relazionate alle trame dei film più importanti, degli autori e delle loro tematiche.
Scopriamo così che non esistono solo Jackie Chan o Jet Li, che non in tutti i film si sparano interi caricatori uno dietro all'altro, ma soprattutto si capisce perché i cavalieri erranti volano e si sfidano su sottili canne di bambù. Pezzotta ci accompagna in un cinema che nasce da dentro, che racconta la propria storia, che decide e riesce a reinventarsi in lunghissime serie (un centinaio i film dedicati al personaggio di Wong Fei-hung) che fanno impallidire i venti Bond.
Molto interessante la parte dedicata a Zhang Che e King Hu, che ci fa capire come i due registi abbiano creato lo spartiacque tra due stili con cui ogni nuovo regista di Hong Kong si trova a dover fare i conti; anche la parte dedicata ai caratteri è estremamente godibile, e la parte dedicata ai finali risulta essere "rivelatrice".
L'unica nota davvero dolente è legata ad un discorso economico, non tanto riguardo al prezzo del libro, ma piuttosto alla difficile reperibilità della maggior parte dei titoli citati: solo la rete ci può salvare, ma a quale prezzo… centinaia di cassette e DVD che partono dall'estremo oriente per giungere a casa mia, perché una volta che si comincia ad esplorare il cinema di Hong Kong ci si accorge che è uno dei piu' belli al mondo e questo libro ne è un'ottima anticamera.
La stessa struttura "a tema" del volume è un vero e proprio invito a soddisfare ogni tipo di curiosità, ma il suo pregio più grosso è quello di essere un saggio che non prende sottogamba la complessità della materia e cerca invece di fare intendere a noi occidentali un cinema che si muove verso l'illeggibilità, verso una visionarietà aliena a quello che siamo abituati a concepire come genere.
La mescolanza di situazioni, il passare da una comicità al limite della comprensione del senso a scene di drammatico realismo, i sopracitati cavalieri erranti che volano e frullano nemici sono tutte novità alle quali si deve essere introdotti come ad una nuova lingua. Tanto per fare un esempio, grazie a queste pagine capiamo che quelli che noi erroneamente definiamo "film di arti marziali" si dividono almeno in tre ben distinti generi: il gongfupian, il wuxiapian ed il shenghuai wuxiapian, ovvero i film in cui ci si mena a mani nude, quelli dove si usano armi (spade e affini), e quelli dove si vola, si affetta e si lanciano onde ad energia dalle mani.
Il cinema di Hong Kong è un cinema vero, anche se spesso pare inverosimile, ma sono tutti comunque punti di vista, prendiamo ad esempio (come dice lo stesso Pezzotta) un blockbuster americano come The Rock, nel quale, a proposito delle scene di inseguimento in macchina, il regista Michael Bay ha dichiarato fieramente di filmare i primi piani degli attori con una macchina da presa fissa, che fa carrellate a scatti e scuote violentemente, per dare l'impressione del movimento; un regista di Hong Kong, invece, scende in strada senza aver chiesto permessi a nessuno e filma quello che succede, con gli attori che rischiano la vita in mezzo alle macchine vere.
L'ultima parte del volume (estremamente ricca), quella dedicata ai profili, è corredata di biografia e filmografia di ogni autore, attore, sceneggiatore: diventa così più facile capire una tematica o un discorso facendo riferimento anche alla vita che quel determinato profilo ci racconta.
Ultima nota di merito è la copertina, con uno splendido Stephen Chiau che con mestolo e wok assume la statuaria posa del "God of cookery" (tra l'altro ottimo film dello stesso Chiau e di Lik-Chi Lee del 1996).
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