Dalla fame all’abbondanza. Gli italiani e il cibo nel cinema italiano dal dopoguerra a oggi. PDF 
di Mauro Brondi   

Leggere il cinema come documento storico attraverso cui studiare le abitudini alimentari di una nazione è un tentativo tanto interessante quanto pericoloso.
Non sempre Viviana Lapertosa riesce a spiegare la complessità di un tale approccio e rischia a volte (soprattutto nelle pellicole del passato, quelle neorealiste) di ridurre un'idea di cinema a favore della materia e del campo di interesse che si sta analizzando: il cinema italiano e il cibo degli italiani.

Avvicinandosi ai giorni nostri il volume diventa più interessante, vivo e ricco di punti di vista originali (tutto il cinema degli anni Ottanta e in particolare la focalizzazione su Avati).
In ogni caso, è nei particolari che il libro si difende, illustrando, concentrando e rievocando tutta una serie di situazioni e immagini del cibo nella cinematografia italiana del dopoguerra. Ci si accorge allora che il cibo è quasi un'ossessione del nostro cinema, non solo perché (come è evidente) ogni film realista, prima o poi, deve rappresentare il cibo, ma anche perché, i cineasti italiani (da "buoni" italiani) lo utilizzano non tanto come metafora, quanto come particolare attraverso cui configurare un genere (commedia e melodramma su tutti).

Il libro quindi si concentra sugli autori che del cibo hanno fatto una poetica (Ferreri, Pasolini), ma anche su un attore come Totò, e su esempi "minori" che mostrano un insieme di abitudini e di immagini degli italiani e il cibo: da "Pane nero e schermo bianco. La fame e il neorealismo" a "La dolce vita?", fino a Ferreri e alla nuova società consumistica e all'Italia "da bere" degli anni Ottanta.

Molti film citati e una discreta bibliografia per un libro che rischia spesso di perdersi fra studio della rappresentazione del cibo su grande schermo (e suo significato all'interno di quella poetica specifica) e riflessione intorno all'immagine del cibo degli italiani al cinema (ricerca storica che pone non pochi problemi di scientificità).

Dalla premessa del libro:

"Cibo protagonista assoluto (per usare il linguaggio cinematografico), ingrediente fondamentale (per dirla in gergo gastronomico) di un binomio forte e duraturo, che nasce proprio alle origini del cinema. Non è un caso che una delle prime immagini cinematografiche sia quella di un bambino che mangia la pappa. Ed è da Le repas de bébé del 1895 che si instaura tra uomo, cibo e cinema un vincolo naturale e, al tempo stesso, complicato; spontaneo ma subito solido. Un legame che nel corso del tempo darà vita a espressione ora realistiche, ora drammatiche, a situazioni comiche, gustose, ridicole, grottesche, oppure metafore, simboli, a rimandi a tutt'altro. Fin dalle origini, il cinema ha mostrato i comportamenti dell'uomo alle prese con il cibo, con il mangiare, con la fame. Il cinema-neonato, che ancora non sa parlare (è muto, non ha ancora un suo linguaggio) si esprime, invece, così naturalmente in un gesto essenziale e quotidiano: fare la pappa...tra i primi ad approfittare della "ghiotta" occasione è George Méliès, nella cui filmografia si trovano titoli come Le repas fantastique, Le diner impossible, Une indigestion, Sorcellerie culinaire, La cuisine en folie ecc. Nelle mani del mago delle illusioni l'aspetto del cibo cambia: viene stravolto nella forma e nelle dimensioni, le cucine diventano teatri di trasformazione, i cuochi vittime delle minestre. Questi giochi di stravolgimento, contrapposti alla realistica pappa del bebè Lumiére, sono rappresentativi dei due tipici approcci al cibo da parte dei futuri cineasti: da un lato la tendenza a riprendere un cibo reale, naturale, appunto, la parte fisiologica, presenza costante, banale e necessaria alla vita dell'uomo; dall'altro l'aspetto più fantasioso, il cibo come pretesto, oggetto dalle mille risorse che ben si presta al gioco dell'amplificazione cinematografica."

 


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