The Spirit PDF 
Mario Bucci   

Non mi capita spesso, ma a volte accade, e non c’è molto da dire. È per questo che per arrivare a parlare del film The Spirit, dall’inizio del nuovo anno in molte sale italiane, ho bisogno di incominciare facendo un passo indietro, o meglio attorno all’argomento.

Il difficile compito di tradurre un’opera in un’altra, è sempre stata missione ardua e meritevole di coraggio, spesso mal evocata, male interpretata, irriverente nei confronti dell’originale, ma a volte anche tanto più piacevole, coraggiosa e riuscita. Esempi ne abbiamo (avuti) centinaia davanti ai nostri occhi di cineasti/cinefili, dalla parola che si trasforma in immagine, dalla poesia che diventa canto, dalla pittura che diventa fotografia e viceversa, così come dall’immagine che diventa parola. Chissà perché però, quando si parla di un passaggio da una graphic novel ad un film, i sostenitori della prima abbiano sempre da dire sul risultato cinetico finale. Credo si tratti di una forma di autoconservazione del gruppo, una sorta di sistema immunitario a quella che viene considerata una nuova casta di intellettuali che in una tavola disegnata cerca ed interpreta segni e simboli, nemmeno si trattassero dei tarocchi in mano allo psicomago Alejandro Jodorowski. Non che trasporre un romanzo sia più facile o difficile, ma i letterati/lettori insomma si lamentano comunque meno dei lettori/autori di fumetti. E non ci sono molti motivi, appunto, se non quello di difendere un'arte che, alla fine, deriva da un po’ tutte le altre forme d’espressione, cinema in primis.

Sta di fatto, comunque, che nel caso di The Spirit, chiunque abbia da dire qualcosa contro il risultato finale in fondo non fa nulla di male, se non sparare sulla croce rossa. È insindacabile, infatti, che sia gli appassionati di fumetti, sia gli appassionati di cinema siano rimasti delusi dal primo lavoro dietro la macchina da presa di Frank Miller, osannato autore delle tavole originali di Sin City (del quale ha firmato anche la co-regia nella versione passata in sala diretta da Robert Rodriguez) e di 300. Per la sua prima regia solista Frank Miller ha deciso, infatti, di non dirigere un film preso da un proprio lavoro, un po’ con coraggio, un po’ per non rischiare troppo in prima persona. E così ha scelto di cimentarsi con uno di massimi esponenti del settore, Will Eisner, che tra gli anni Quaranta e i Cinquanta diede alle stampe le strisce domenicali di questo strambo supereroe, morto e risorto, dongiovanni, scuro e notturno, povero di idee ma ricco di tanta volontà e morale precostituita: Danny Colt, ex agente di polizia un po’ fuori dalle regole, un po’ troppo dentro le stesse regole. Proprio il protagonista, interpretato da Gabriel Macht, sembra la prima cosa fuori luogo del film, e trattandosi del protagonista non è per nulla un buon inizio. Certo il suo carattere stupido e dongiovannesco può irritare anche un appassionato di fumetti, ma se a renderlo irritabile è l’attore che lo interpreta il problema al cinema è un altro. C’è qualcosa di spento nello sguardo di Danny/Gabriel, qualcosa che non funziona nemmeno nel confronto/conflitto con la sua nemesi Octopus, il cattivo interpretato da Samuel L. Jackson, che ripete per l’ennesima volta lo stesso carattere, mascherato di tutto punto, ma senza spunti interessanti. Una coppia male assortita di protagonista ed antagonista che rende il film quello che è: un esercizio non troppo di stile per un autore (Frank Miller) sul cui nome in cartellone si sta applicando un vero e proprio saccheggio.

E proprio lui, grande capitano di questa goliardica sarabanda di stupidaggini, è quello che delude più di tutti, riproponendo sin dai titoli di testa qualcosa che è più di un già visto, qualcosa che è peggio di una minestra riscaldata, e che puzza come il pesce dopo tre giorni. Un amico scomodo in casa darebbe meno fastidio. Alla sua prima prova cinematografica solitaria, infatti, Frank Miller si mostra già a corto di idee, e se nel gennaio del 2009 (dopo i recenti passaggi anche di Quentin Tarantino dalle stesse parti) far emergere un sepolto vivo dalla tomba, con il palmo schiuso una volta dissotterrata la mano, può ancora avere il sapore della citazione, siamo di fronte ad un cineasta che non ha nulla da dire, nulla da inventare. Anche i siparietti nippo/nazisti in cui Samuel “Octopus” L. Jackson mostra la sua cattiveria sciogliendo un micio (?!) risentono molto di un desiderio diffuso di revival, di una consolidata tendenza di visto/non visto/già visto alla Seijun Suzuki (il rosso fondale di The Woman Sharper) che sta omologando il cinema popolare in un’unica grande plastica inquadratura fuori asse. Questa necessità di ripetersi porta il risultato finale lontano anni luce da quello che poteva essere un progetto diverso, dove lo spirito della metropoli (Central City nel racconto) guarda alla società contemporanea metropolitana americana, e che nel film invece si risolve solo a poche battute sul sistema sanitario (anche questa una costante, ripetizione dell’umorismo statunitense). Sempre in tema di tempi, questa volta più legati al linguaggio interno del prodotto, ci troviamo in un film che ha anche carenza di ritmo, e che nel suo pasticcio si perde senza mai toccare un apice, senza mai scaraventare lo spettatore nel fondo della poltrona. Un’agitazione continua, la posizione scomoda di una gallina che non sa dove fare l’uovo.

Stucchevole fino alla noia, dunque, The Spirit contribuisce ad appesantire una tendenza che fa dell’immagine un danno vero e proprio al testo narrativo, supportato qua e la da dialoghi irritanti, ma davvero ben fornito di corpi. Ciò che infatti scalda davvero il pubblico e la visione sono le forme gentili di Scarlett Johansson al fianco di Octopus, di Eva Medes (l’unica cosa davvero bella è l’emersione del suo primo piano, notevole) e Paz Vega, un po’ Plaster de Paris, un po’ Salomè. Pin up che fotocopiano il proprio sedere e che lasciano una firma, così. Niente più. In un film dunque dove c’è tutto quello che il pubblico medio oggi cerca (Bulgari e Campari, per intenderci) ma dove il pubblico medio però si annoia, tanto da non essere nemmeno in grado di seguire una storia stramba che allude al complesso di Elettra e al sangue sacro dei miti classici, manca proprio un po’ di ironia e soprattutto manca di popolarità. The Spirit sbaglia target. Confezionato per tutti, diretto da un regista considerato per pochi, rivolto ad un pubblico di cui non si riconosce uno spirito.

Chi è Danny Colt? "Non più un poliziotto, nemmeno un uomo morto, nemmeno uno spirito. Chi è Spirit? Non più un poliziotto, ma un rompicoglioni!". Davvero una colpa, vederlo.

TITOLO ORIGINALE: The Spirit; REGIA: Frank Miller; SCENEGGIATURA: Frank Miller; FOTOGRAFIA: Bill Pope; MONTAGGIO: Gregory Nussbaum; MUSICA: David Newman; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 103 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.