Siamo nell' anno zero di una terra d'Oriente. I burqa colorati, la polvere e le mine richiamano una cronaca vicina ma già dimenticata. Samira Makhmalbaf con il suo Alle cinque della sera apre un nuovo squarcio sull'Afghanistan di oggi accostandosi a quella che noi chiameremmo la 'condizione femminile' con un'ottica quasi neorealista, in cui la cura dedicata all'enunciazione, alla ricostruzione della realtà, è ridotta ai minimi termini. La regista rinuncia quasi del tutto alla possibilità di 'fare sentire' la sua mano di autrice, quando lo fa ciò avviene in modo impercettibile e lieve con immagini-icone come i burqa e gli ombrelli azzurri. La realtà parla da sé, sembra affermare la Makhmalbaf, non c'è bisogno di giudicarla, contiene in sé la sua chiave di lettura.
L'impressione di 'autenticità' che deriva da questa presa di posizione della regista è molto forte e questa 'trasparenza' dei filtri, questa visione giovane e naif di un paese e di un popolo per i quali il futuro è tutto da costruire, fa di questo film un'opera forse più riuscita di Viaggio a Kandahar, film diretto dal padre di Samira, sempre sull'Afghanistan recente e maggiormente caratterizzato dalla volontà connotativa del regista.
Il regime del Talebani è caduto, Bin Laden è lontano, cacciato dagli Americani, ma il paese stenta a cambiare rotta, è vittima di un immobilismo gattopardesco che lo inchioda a perpetuare mentalità, usi e stili di vita che non possono mutare da un giorno all'altro, anche perché ancora ampiamente diffusi. Permane il fanatismo religioso; la morale gretta, sessuofobica e chiusa è ancora la norma nelle famiglie, come in quella della protagonista Noqreh, e condanna la vita delle donne, le sottomette al potere e al controllo degli uomini.
Spiazza e seduce la semplicità con cui la giovane regista asseconda con la macchina da presa la vita di Noqreh nelle iterazioni dei suoi atti, giorno dopo giorno, che la portano, con ostinazione e caparbietà, a nascondersi per istruirsi, ingannando il padre e anche a concedersi qualche vezzo femminile.
La regista punta l'obiettivo su Noqreh, che è tra le più anziane delle studentesse del suo paese, ma anche su altre donne, tutte accomunate dall'inesperta fiducia nelle nuove prospettive di vita e di lavoro che intravedono solo.
Spiazza e seduce la naturalezza con cui si esprime tra le donne la sete di democrazia, il bisogno di libertà, la propensione a inseguire grandi aspirazioni che permettano il riscatto e l'affermazione sociale.
Così Noqreh si ritrova ingenuamente a inseguire il sogno di diventare Presidente della Repubblica, animata dal puro idealismo e lontana anni luce dalle logiche opportunistiche della politica che noi conosciamo.
Lezione morale asciutta e precisa, senza retorica, sul valore della democrazia da un paese che di quella parola sta cercando il significato.
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