Cronaca di una rassegna contro. I 40 anni della Quinzaine des réalisateurs PDF 
Matteo Demichelis   

ImageCannes, 1968. La protesta che infiamma i dibattiti sulla società francese arriva fino al festival di Cannes. È appena stato destituito Henry Langlois dalla direzione della Cinémathèque française. Langlois è il padre fondatore della conservazione cinematografica del Paese e i registi della Nouvelle Vague si sono nutriti delle sue rassegne. È dopo quest’ultima ingerenza politica che i figli della Cinemathèque - tra cui figurano J. L. Godard e F. Truffaut - interrompono un festival in pieno svolgimento. Negli ambienti intellettuali parigini matura così l’idea di creare una nuova rassegna separata da quella ufficiale, libera da vincoli diplomatici e politici nella selezione dei film, vetrina del cinema di tutto il mondo. Nel ‘69 prende il via la prima manifestazione parallela al Festival di Cannes, non competitiva, inaugurata da due film giunti clandestinamente da Cuba e che faranno la storia del cinema di quel paese. Organizzata in soli due mesi, la rassegna proietta in continuità, giorno e notte,  film presi da tutto il mondo. Ben presto, si caratterizzerà come luogo di scoperta di autori che puntualmente si ritroveranno a ricevere i massimi riconoscimenti nei maggiori festival mondiali. Nel 1974, la Quinzaine seleziona Mean Streets e accoglie due sconosciuti che nessuno vuole intervistare perché parlano esclusivamente inglese, Martin Scorsese e Robert De Niro. Nel ’75, avviene la consacrazione ufficiale: per la prima volta un ministro della cultura apre la manifestazione, con la raccomandazione di poter presentare un capolavoro. La direzione artistica, guidata dal fondatore P. H. Deleau, risponde con  Allonsanfan dei fratelli Taviani. Negli anni ’80, Spike Lee ricorda che essere selezionati alla Quinzaine era il sogno di molti filmaker americani indipendenti. Jim Jarmush otterrà una notorietà internazionale proprio dopo la presentazione di Stranger than Paradise nel 1984. E il suo riconoscimento verso questa rassegna si è manifestato proprio in questa ultima edizione, sul palco della Quinzaine, dove il regista americano è stato invitato per festeggiare i quarant’anni di vita del festival. Nel corso degli anni, l’interesse in patria per questa rassegna parallela riesce addirittura a far concorrenza al Festival di Cannes. Merito di scoprire in anteprima i giovani talenti francesi. Per loro, si riserverà allora una nuova sezione del festival ufficiale, Un certain regard, e non saranno più presentati qui. Recentemente, Christian Mungiu, selezionato nel 2002 con il suo primo lungometraggio (Occident), vincerà la palma d’oro nel 2007 aprendo di fatto la “moda” e l’interesse per il cinema rumeno.

ImageCannes, 2008. Da un lato della Croisette, i giornalisti entrano solerti al Palais des festivals, la nuova sede del Festival di Cannes già ribattezzata “il bunker”, una massiccia struttura in cemento a vista. Qualche centinaio di metri più in là, delle lunghe code si assiepano fuori dal teatro che ospita la Quinzaine. Nella storia di questa rassegna, non ci sono mai state proiezioni riservate alla stampa. Pubblico pagante e professionisti attendono diligentemente in coda e per trovare posto in sala è necessario prevedere almeno un’ora di placida attesa. Per i nostalgici di quella prima edizione del ’69 è stata inoltre prevista un’intera nottata di proiezioni. Guardando alla storia della Quinzaine, la prima curiosità da soddisfare è la provenienza dei film. Noto, non senza una punta di delusione,  che la presenza nazionale è piuttosto ingombrante. Tra coproduzioni e produzioni francesi compaiono tredici lungometraggi su ventidue film selezionati. Nel documentario 40x15, confezionato per festeggiare l’anniversario di quest’anno, l’attuale direttore afferma che ogni anno è sempre una lotta riuscire a portare qui i film. E non nasconde anche una contrattazione con il festival ufficiale. Non potendo restare per l’intera durata della manifestazione, vedo tutto quello che c’è da vedere per quattro giorni. Premetto, quindi, di aver assistito alle proiezioni di una sola metà del programma, tra cortometraggi e lungometraggi. Mi è capitato il programma 1 dei corti. In tutto quattro lavori che si sono rivelati una grande delusione. Tra questi, figurava l’opera prima come regista dell’attore Louis Garrel,  Mes copains. Il giovane Garrel racconta la storia di un trio amoroso senza emozionare e con una certa compiacenza nel filmare i visi attraenti dei giovani interpreti scelti.

ImageTra i lungometraggi degli autori alle prese con un’opera prima, sono subito da segnalare due lavori che hanno emozionato la sala. Si tratta del film slovacco Slepe Lasky e dell’iraniano Taraneh Tanhaiye Teheran. Slepe Lasky dipinge diversi ritratti di coppie di non vedenti, coniugi sposati da molti anni e amori che stanno sbocciando. Stare insieme a loro, con uno stile molto vicino al documentario, è come ritornare ai valori primari della vita con purezza e limpidità. Un lavoro di rara sensibilità del giovane regista Lehotsky Juraj. Il film iraniano, invece, descrive con una sapiente dose di ironia la difficile quotidianità di due cugini che sbarcano il lunario installando abusivamente parabole per la tv satellitare. I dialoghi sono tragicomici, Teheran di notte è bellissima, inquadrata dalle alture della metropoli. E ci si affeziona agli sgangherati personaggi poveri ma sognatori. Con un lavoro in video low-budget, finalmente una piacevole riscoperta del cinema iraniano, dopo il silenzio seguito all’exploit degli anni Novanta. Il cinema rumeno, invece, non figura molto bene quest’anno. Boogie è un film interpretato da bravi attori (il protagonista maschile è una star in patria), ma racconta senza una precisa contestualizzazione sociale due giorni di vacanza al mare di una giovane coppia con un figlio. L’incontro casuale dell’uomo con alcuni compagni di scuola incrina il rapporto con la moglie, rivelandone la fragilità. I piccoli avvenimenti che punteggiano la pellicola risultano però privi di spessore, curiosamente accomunati da un ostentato maschilismo nelle relazioni sociali.

ImageLa Quinzaine non ha presentato solo opere prime. Cztery noce z Anna è il ritorno al cinema, dopo diciassette anni, del regista polacco Jerzy Skolimowski. Ambientato in una piccola cittadina della Polonia, la pellicola ritrae un uomo e la sua ossessione per una giovane infermiera. Con una progressione del tempo non lineare, gradualmente si arriva  a comprendere l’origine di quell’ossessione che porta l’uomo a introdursi furtivamente nell’abitazione della donna. Un film notturno e intimista molto ben scritto, un’opera di solitudine costruito con immagini estremamente poetiche. Il quarto film dei Larrieu, Le Voyage aux Pyrénées, è una divertente commedia alla francese interpretata dalla coppia Azema-Darroussin. I due interpretano una coppia di celebri attori con un problema da risolvere: dopo un viaggio in Italia, la donna soffre di un fastidioso disturbo di ninfomania. Il marito decide di portarla in montagna per tenerla lontana da ogni tentazione. Ma per quanto si vogliano isolare in mezzo alla natura, i Pirenei si rivelano tutt’altro che disabitati, soprattutto in presenza di due divi apparentemente in vacanza. È una commedia degli equivoci che inanella una serie di situazioni risolte con degli escamotage molto fantasiosi. Le dernier maquis, l’opera terza del regista franco-algerino Rabah Ameur Zaimeche, tratta un soggetto di attualità, l’integrazione culturale sul posto di lavoro. Ci troviamo all’interno di un’area industriale, in un’azienda di riparazioni di palette per il carico delle merci. Il capo della ditta tenta di migliorare un lavoro di per sé alienante allestendo una moschea per i dipendenti musulmani. Decide, inoltre, chi tra loro sarà l’imam, senza però consultarli. Probabilmente, è la povertà dei sottoplot e dell’intreccio a rendere la pellicola così piatta, con situazioni che si ripetono fino alla noia.

Alti e bassi, quindi, tra i lungometraggi di questa edizione della Quinzaine, con una preponderanza delle produzioni francesi. Bocciata, invece, la selezione dei corti in cui, di nuovo, metà delle opere erano di produzione nazionale senza essere motivate da una particolare qualità.

 


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