Quando una pellicola detta uno standard è sempre un’ardua impresa rischiare il confronto, anche perché spesso e volentieri le probabilità di successo sono decisamente scarse, specie quando l’ispirazione pare appena visibile, almeno quanto la vena che possa portare a creare qualcosa di innovativo. È il caso di Emotivi anonimi di Jean-Pierre Améris, che con questa sua ultima fatica cerca (invano) di proporre un’alternativa in grado di rinverdire i fasti che, ormai dieci anni fa, portarono Jeunet e la sua Amélie dritti al cuore del pubblico e della critica. Peccato che, dall’atmosfera ovattata e fiabesca tinta di colori pastello all’interpretazione spesso irritante dei protagonisti, nulla funzioni davvero in questo Emotivi anonimi, e a emergere sia soltanto il lato più costruito di un esperimento decisamente rischioso.
La fotografia laccata, il montaggio e la regia assolutamente convenzionali, una storia d’amore poco avvincente, smorzano ogni eventuale entusiasmo dello spettatore, togliendo respiro e ritmo a una pellicola fortunatamente limitata nel minutaggio e, dunque, più facilmente digeribile. Lo stesso tema dell’amore legato alla pasticceria, e al cioccolato in particolare, risulta spento sia nelle componenti passionali che in quelle prettamente comiche, portando lo spettatore a rimpiangere anche il decisamente più commerciale ma più riuscito Chocolat di Lasse Hallström, che sotto il profilo emotivo possedeva la carica che soltanto le grandi produzioni hollywoodiane mascherate da film d’autore all’europea riescono a sfruttare. Resta, più che il rammarico per un’occasione perduta, la curiosità legata al perché dello spazio promozionale concesso a un’opera effettivamente minore, targata 2010 e presentata con eccessivo entusiasmo anche a scapito di prodotti decisamente più meritevoli - su tutti Enter the Void di Gaspar Noè - e potenzialmente in grado di avere un impatto maggiore sul pubblico più scafato.
Di Emotivi anonimi, dunque, è difficile trovare altro da dire se non il fatto che a infastidire sia stato anche lo sfruttamento dell’idea, ritenuta vincente, di un gruppo di recupero legato al superamento dei problemi legati alla timidezza: più che suscitare tenerezza o, al contrario, fungere da motore comico del film, così rappresentato pare quasi un affronto rispetto alle problematiche ben più importanti che i gruppi di recupero, appunto, si trovano solitamente ad affrontare. Il tutto senza contare il fatto che lo stesso argomento era stato trattato con maggiore efficacia, intelligenza e humour nero da Fincher nel suo Fight club, risultando forse meno politically correct ma decisamente più incisivo. Ad Améris, che probabilmente sperava di bissare il successo planetario di Jeunet, non resta che tornare sui suoi passi, e in vista del prossimo lavoro, cercare di puntare a materie a lui più congeniali, per evitare che il confronto sia, come in questo caso, decisamente impietoso. E al cinema francese, che negli ultimi mesi ha regalato al pubblico piccole perle come Tomboy e il già citato Enter the Void, augurare una visibilità maggiore nelle nostre sale, almeno per i titoli davvero meritevoli.
Titolo originale: Les émotifs anonymes; Regia: Jean-Pierre Améris; Sceneggiatura: Jean-Pierre Améris, Philippe Blasband; Fotografia: Gérard Simon; Montaggio: Philippe Bourgueil; Scenografia: Sylvie Olivé; Costumi: Nathalie du Roscoat; Musiche: Pierre Adenot; Produzione: Pan Européenne Production, Studio Canal, France 3 Cinéma, Rhône-Alpes Cinéma, Climax Films, Radio Télévision Belge Francophone; Distribuzione: Lucky Red; Durata: 80 min.; Origine: Francia/Belgio, 201o
|