Basta che funzioni PDF 
Viviana Eramo   

Se il periodo europeo di Woody Allen sia una pausa di riflessione dalla sua più “tradizionale” produzione americana o se, piuttosto, sia il contrario sarà il tempo a dirlo. Già, perché l’omino dai grandi occhiali, ormai ultrasettantenne, non ci pensa nemmeno ad allentare il ritmo produttivo di un film all’anno e sta già girando un nuovo lungometraggio. A Londra per giunta, segno che il periodo europeo non è terminato con la Barcellona di Vicky e Cristina. E sarà sempre il tempo a permetterci di definire dove sia confluita, in questi ultimi anni, la sua identità autoriale.

A guardare la sua ultima fatica, Whatever Works, tradotto in Basta che funzioni, sembra di ritrovarvi in parte l’Allen dei vecchi tempi, il quale – abbandonati sfumature noir e menage à trois catalani – riprende le fila dei suoi discorsi/monologhi, sul modello di Io e Annie.  E se Scoop è forse il film europeo più vicino alla produzione americana (e non solo perché Woody si riserva la parte da co-protagonista), Basta che funzioni è lontano anni luce dal precedente Vicky Cristina Barcelona, che, almeno nella versione italiana, sembra profetizzare il titolo del successivo lavoro. È infatti Vicky a pronunciare la battuta “basta che funzioni”, riferendosi alla strana situazione a tre in cui si ritrova la sua amica Cristina. Qui però il whatever works – la cui traduzione letterale suonerebbe in “qualsiasi cosa funzioni” – sembrerebbe fare nuovamente il verso al ritrovato potere del Caso, così fondamentale nella poetica del regista newyorkese da attraversare in profondità anche pellicole più recenti come Match Point e Scoop. Se il primo era il contraltare dell’altro per fotografia, temi e risoluzione, in Basta che funzioni il Caso decide le sorti del protagonista del film (ennesimo alter ego alleniano), che risponde al nome dell’attore/autore Larry David, forse più noto negli Stati Uniti che qui da noi.

Il protagonista di quest’ultimo capitolo della saga ha visibilmente smesso di imporre un andamento alla sua vita per rintanarsi, guarda un po’, nella marxista, cinica, fervida e agnostica critica al mondo, che egli guarda a diversi gradini di altezza. Posizione, questa, che il nostro personaggio ha deciso di potersi permettere in virtù del genio di cui è dotato (è un quasi vincitore del Premio Nobel), ma che tuttavia non gli impedisce di scegliere pigramente di guadagnarsi da vivere insegnando il gioco degli scacchi ai ragazzini. La Fortuna e il Fato sembrano così governare totalmente le vite umane, e il libero arbitrio pare solo un’illusione. Ecco perché il nostro Boris decide per ben due volte di rinunciare alla sua vita, salvo poi essere “salvato” in entrambe le occasioni dal Caso stesso. Tuttavia, il suo genio, come da copione, rifiuta ipocondricamente di godersi l’esistenza per vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, nell’incapacità totale di gestire la vita e di goderne, come gli fa notare la sua neo ex moglie Evan Rachel Wood. È lì che capiamo che il buon protagonista, pur non volendolo, ha di fatto assunto il ruolo di Pigmalione, facendo maturare la sua creatura fino al punto che quest’ultima, superata la fase del plagio incondizionato, ne carpisce i difetti più palesi e insieme intimi, come succede nei più classici rapporti tra genitori e figli.

Whatever Works nasce da un’idea di Woody Allen di trent’anni fa. Dato fondamentale per restituire un senso al salto piuttosto evidente tra questa sua ultima opera e un film come Vichy Cristina Barcelona. Se in quest’ultimo, infatti, la voce narrante non solo non appartiene al noto regista (e non unicamente in senso letterale), ma assurge al compito classico, e forse lì relativamente fuori posto, di un narratore onnisciente, in Basta che funzioni – ancora una volta, come in Io e Annie – Allen diviene, pur nelle fattezze di un alter ego, protagonista e narratore della sua stessa storia. Il regista ripropone uno dei suoi classici giochi enunciativi, apostrofando il pubblico, guardando in macchina, provando a far partecipe di questa esibizione dell’enunciazione cinematografica anche i suoi amici, i quali, non capendo, lo costringono poi in qualche “a parte”. Come suo solito, Woody Allen gioca con i regimi finzionali cinematografici, ma immettendovi anche una massiccia dose di teatralità, esaltata dalla sua caratteristica più evidente: l’importanza basilare del dialogo. Qui, tuttavia, la smisurata fiducia nel dialogo, sopratutto nella prima parte (il monologo del prologo, per esempio, è fin troppo lungo) in qualche occasione stanca, per poi tornare con prepotenza – e non a caso – con l’ingresso in scena di un maggiore movimento drammaturgico. Con il personaggio di Patricia Clarkson, infatti, esplode il conflitto con il mondo borghese e ipocrita, superstizioso più che religioso, da cui proviene la graziosa Evan Rachel Wood. Sarà di nuovo il Caso a donare un finale positivo al film, diluendo notevolmente la carica eversiva del nostro Woody. Di certo qui siamo lontani dalle atmosfere noir di Match Point, in cui il Fato decretava la vittoria dei cattivi, ma siamo pure distanti dall’ironia di un finale “positivo” alla Scoop. Riconosciamo il buon vecchio Woody nella fattezze di Larry David, anche se forse continua a mancarci l’Allen dei vecchi tempi (come manca la splendida voce del doppiatore Oreste Lionello) e continuiamo a preferire i suoi film più smaccatamente e maliziosamente meta-cinematografici, quando parlando di cinema, il nostro Woody raccontava la vita.

TITOLO ORIGINALE: Whatever Works; REGIA: Woody Allen; SCENEGGIATURA: Woody Allen; FOTOGRAFIA: Harris Savides; MONTAGGIO: Alisa Lepselter; PRODUZIONE: Francia/USA; ANNO: 2009; DURATA: 92 min.

 


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