Visionario viaggio d'iniziazione e di crescita di una bambina alle prese con spiriti e inquietanti creature che arrivano a rubarle il nome e quindi a privarla di un'identità che riuscirà faticosamente a ritrovare grazie alla sua saggezza, alla sua lealtà e al potere dei ricordi.
Personaggio chiaramente "carrolliano", ma anche novella Dorothy che racchiude in sé l'intelligenza dello spaventapasseri, il coraggio del leone, il cuore dell'uomo di latta, Chihiro ci guida in un mondo pieno di simboli. La potenza di un'opera come La città incantata è anche quella di riuscire a metterci in contatto con gli strati e le emozioni più profonde della nostra mente attraverso situazioni e figure che affondano le loro radici nell'inconscio collettivo. Chihiro è l'archetipo dell'eroina alla ricerca di se stessa. Ha una missione da compiere (salvare i suoi genitori, trasformati in maiali per la loro ingordigia) e, lungo un percorso tortuoso fatto di salite, scale e prove da superare, incontra alleati, nemici, mutaforme, saggi, guardiani della soglia, tutte figure archetipiche che hanno il potere e l'energia di essere lontane, evocative, e nello stesso tempo familiari, e che nella geniale fantasia di Miyazaki assumono la forma del signore delle caldaie, delle palle di fuliggine, dello spirito del ravanello, della vecchia strega macrocefala, del bebè gigante. Ogni personaggio, anche il più temibile e minaccioso, aiuterà Chihiro a diventare grande. Da bambina impaurita, viziata e capricciosa a ragazzina coraggiosa che impara ad affrontare la solitudine, l'incertezza, la paura, si ritrova investita della responsabilità di fare delle scelte. In una parola, cresce.
Anche se nel suo viaggio Chihiro incontra spesso buffi esseri e vive situazioni fantasiose e paradossali che strappano il sorriso, e nonostante il lieto fine, La città incantata è in definitiva un'opera profonda, triste, inquietante. Parabola pessimista del consumismo e dell'ingordigia, in cui l'occupazione principale dei personaggi sembra essere quella di fagocitare e poi vomitare cibo e ricchezza. Chihiro si sottrae fin dall'inizio ai perversi meccanismi di un mondo bizzarro, sfavillante e colorato ma anche egoista, avido e superficiale - tristemente simile a quello reale - ossessionato da una purificazione di facciata (a questo servono le terme degli spiriti) e in realtà inquinato dalle logiche del dio denaro. La città incantata è abitata da spiriti tutt'altro che eterei, eccessivamente corporei, miscuglio più che sintesi di bene e male. Quest'ultimo spesso nasce solo da uno squilibrio. Lo spirito del cattivo odore, informe ammasso di fango che nasconde una montagna di rifiuti, non è altro che il dio del fiume. Il mostro senza volto ingoia e ingloba tutto ciò che gli sta intorno per colmare la solitudine. La strega Yubaba, apparentemente insensibile e priva di sentimenti, è in realtà la madre iperprotettiva del bebè gigante e il suo doppio/alter ego, la gemella Zeniba, rappresenta la saggezza, la memoria, le radici.
Zeniba si fa chiamare "nonna" da Chihiro e le svela che per salvare i genitori e l'amico Haku deve utilizzare i suoi ricordi. Ed è proprio grazie al ricongiungimento con le radici e con il passato che la protagonista ricorderà un episodio rimosso della sua infanzia e scoprirà che Haku è lo spirito del fiume che l'ha salvata quand'era piccola, ora prosciugato e circondato dai palazzi. Il messaggio ambientalista e pedagogico tuttavia non è mai pedante né semplicistico e l'impressione che prevale alla fine del film è quella di aver assistito a un'opera suggestiva, ricca di invenzioni visive, che colpisce soprattutto per il senso di inquietudine e poesia, che insinua dubbi più che dare risposte, toccando corde intime, personali e insieme universali.
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