Il nuovo film di Ozpetek, ancora una volta - e in questo caso più sentitamente di altre -, disvela l’amore dell’autore per il cinema, la fascinazione subita e trasmessa attraverso il suo protagonista per la finzione scenica, su cui ruota gran parte del discorso filmico dell’autore italo-turco.
Magnifica presenza è invero la magnifica ossessione del regista per un mondo sognante e di sogno cui vorrebbe accedere il suo protagonista, figura solitaria, incerta della propria identità sociale e sessuale, incapace di relazionarsi con la realtà che lo circonda e che ritrova nel rapporto con una fantomatica compagnia teatrale del passato - inizialmente conflittuale poi inevitabilmente dipendente e sfociante nella patologia psichiatrica - la propria apparente dimensione di appagamento, come dimostra il finale nel teatro da cui tutta la vicenda pare trarre il proprio sviluppo metafilmico. Un film che non sembra riuscire a scegliere un registro ben definito, dove dramma e commedia paiono sovrapporsi e avvinghiarsi senza soluzione di continuità, ma con esiti non così definiti come in altri suoi film, tanto da risultare difficile l’immedesimazione con il protagonista. Con il rischio di non riuscire a condividere appieno la fascinazione del regista per quell’idea di cinema e di finzione di cui continuamente pare pervadere il suo film.
Ozpetek punta sulla finzione pura, sulla recitazione e sulle maschere del quotidiano, risultando involuto e poco convincente nella sua aspirazione di fare di questo film un gioco metalinguistico. Alla fine non pare potersi condividere la scelta operata dal protagonista di volersi rifugiare in un mondo altro, apparentemente più rassicurante, poiché anche in esso Ozpetek rivela esservi delle smagliature, dei tradimenti nei confronti di quello spirito recitativo e artistico di cui si fanno portatori gli attori della compagnia teatrale. Tutto ciò dimostra più che mai la pavidità di un personaggio involuto, poco simpatico, nonostante i tentativi del regista di tratteggiarne un’umanità più problematica e interessante di quello che solitamente potrebbe apparire, innestandovi troppi elementi che rimangono alla fine in sospeso, indefiniti, tanto da rendere il discorso e la rappresentazione della storia incompleti e insoddisfacenti. L’ossessione cinefila e teatrale di Ozpetek, questa volta, si manifesta in maniera decisamente troppo esplicita, mediante citazioni e riferimenti al cinema da lui stesso amato e vezzeggiato. Eppure questo discorso, fortemente metacinematografico, non pare essere nelle sue corde, seppur tenti di proporlo al suo pubblico con i toni più accessibili della commedia, al fine di evitare intellettualismi troppo espressi, ma con esiti piuttosto ingenui e deboli, che disvelano la sua natura narrativa eccessivamente programmatica.
Titolo originale: Magnifica presenza; Regia: Ferzan Ozpetek; Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Federica Pontremoli; Fotografia: Maurizio Calvesi; Montaggio: Walter Fasano; Scenografia: Andrea Crisanti; Costumi: Alessandro Lai; Musiche: Pasquale Catalano; Produzione: Fandango, Faros Film, Rai Cinema; Distribuzione: 01 Distribution; Durata: 105 min.; Origine: Italia/Turchia, 2012
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