Diversi contributi di alcuni fra i maggiori studiosi di cinema del panorama italiano sono il materiale di un'interessante analisi critica e teorica sulle dinamiche di scambio fra le arti visive. Un dibattito sempre acceso quello sull'interazione fra cinema e pittura che trova fecondi spunti di riflessione anche nelle produzioni più recenti, come in Sukurov e Kitano; un confronto che volge l'attenzione ad un più vasto campo di scambi, contaminazioni, fenomeni di ibridazione, che coinvolgono varie forme di espressione artistica: il cinema, la pittura, la fotografia, la video-arte, il digitale. L'impegno dichiarato è quello di una costante volontà di interrogare l'immagine e le sue componenti.
"L'immagine cinematografica, per tornare alla nota distinzione baziniana, è attraversata in modo sempre più evidente da dinamiche di segno opposto, centripeto vs centrifugo: per un verso, procedure di impaginazione visiva che insistono sui valori iconico-plastici, nel tentativo di sfuggire alla mancanza di distinzione del flusso di immagini prodotte dai media, recuperando tracce di un'aura mai posseduta per motivi di dispositivo; per l'altro, pratiche di scrittura ed edizione segnate dalla discontinuità, che valorizzano l'irriducibile eterogeneità dei materiali, imponendo un'idea di cinema come pratica espressiva comunicativa votata all'ibrido, alla contaminazione formale, all'indecidibilità epistemologica.
In apertura, Lino Miccichè, con il suo intervento di carattere teorico, ripercorre i passaggi che, nel corso dell'Ottocento, conducono dalla pittura al cinema attraverso la fotografia, mettendo in luce i requisiti estetici delle varie forme espressive e constatando che, all'interno di questo processo, il cinema ha affermato un figurativismo basato sugli equilibri dinamici dell'immagine.
Pietro Montani legge il film di Pasolini La ricotta (1963) in funzione dei suoi espliciti richiami alla pittura manierista presente sotto forma di tableaux-vivants. Si nota come il sacro sfugga alla rappresentazione del sensibile, in un complesso gioco dei piani di rappresentazione.
Paolo Bertetto, secondo una prospettiva ermeneutica, analizza delle sequenze tratte da Tartufo (1925), Blow-up (1967) e La donna del ritratto (1944), per porre l'accento sugli aspetti dinamico-visivi tipici della figurazione dell'immagine filmica, intesa come alterità dinamica, polisemica, generativa, la quale avvia un complesso processo di visualizzazione cinematografica che eccede la rappresentazione.
Lorenzo Cuccu si sofferma sull'esperienza critico teorica di Carlo Ludovico Ragghianti, sulle sue riflessioni svoltesi negli anni trenta nell'ambito dell'arte figurativa, che riguardano il rapporto del cinema con le altre arti. Il metodo dello studioso implica le possibilità di un'analisi scientifica e di un giudizio storico.
Massimo Galimberti descrive l'attività critica di Longhi e il suo approdo al documentario d'arte nel sodalizio con Umberto Barbaro. Il mezzo cinematografico è inteso come strumento di indagine, come microscopio in grado di definire particolari e di ricostruire processi e forme.
Ruggero Eugeni, in un'ottica sociosemiotica, analizza il motivo dell'ombra tra folclore, letteratura, pittura e cinema. Fornisce tre esempi dal cinema espressionista tedesco: Il gabinetto del dottor Caligari (1919), Nosferatu (1922) e Ombre ammonitrici (1922), riscontrando come tale motivo assuma specifiche valenze metatestuali ed enunciazionali.
Pier Marco de Santi parla del regista pittore Bolognini e della lezione appresa da Sensani, uno dei più grandi scenografi e costumisti del teatro italiano degli anni trenta e quaranta. Ne vanta la qualità degli allestimenti d'ambientazione ottocentesca, l'accuratezza nel lavoro di ricerca, la meticolosità della rappresentazione storica e della ridefinizione dei costumi.
Sandro Bernardi si sofferma sul cinema di Pasolini e Godard mettendo in risalto l'ampio uso di pratiche citazionistiche che contraddistingue il cinema dei due autori. Un cinema impuro in cui coesistono diverse forme di rappresentazione che si impongono come unità autonome e indipendenti: opere letterarie, pittoriche, cinematografiche.
Leonardo de Franceschi nota come il film La mummia (1970) del regista egiziano Abdu Al Salam, sia di alta ispirazione figurativa. Il linguaggio cinematografico, esplorato nelle sue potenzialità figurative, rivela la sua efficacia simbolica ed espressiva, si fa tramite di valori della civiltà millenaria che l'autore stesso vede denegata nell'Egitto del ventesimo secolo.
L'intervento di Carlo Testa verte sulla ricerca dell'assoluto a cui è spinto l'artista. È il film di J. Rivette La bella scontrosa (1991) l'oggetto di questa interpretazione, che vede i rapporti fra la modella e il pittore come il simbolo di una difficile coesistenza fra cinema e pittura. Ci si interroga sul significato di modello e sulle conseguenze traumatiche della rappresentazione.
Antonio Costa, a seguito di alcune osservazioni sull'arte contemporanea, passa in rassegna una serie di esempi e considerazioni sul cinema come arte da museo, facendo riferimento al restauro, alla conservazione, alla catalogazione; ma le esposizioni riguardano anche oggetti della messa in scena, programmazioni da cineteca e un più aperto confronto con altre forme di espressione artistica: il tutto organizzato secondo una logica da mise en scène muséale.
Sandra Lischi mette in evidenza gli stretti rapporti fra il cinema e la video-arte contrassegnati dall'utilizzo del digitale che valorizza le qualità pittoriche dell'immagine, in un panorama in cui il video sembra porsi come protagonista di uno stadio attuale della pittura e delle arti plastiche.
Lucia Cardone crea un parallelismo fra l'iconografia del fotoromanzo e il cinema popolare degli anni Quaranta e Cinquanta, il melodramma, e vi coglie un comune ricorso a determinate matrici simboliche, religiose, legate all'immaginario del pubblico di quegli anni.
In ultimo, Raul Grisolia esamina le influenze pittoriche del surrealismo nel cinema buñueliano a partire naturalmente dalla collaborazione con Salvador Dalì, fino a giungere a quelle immagini maggiormente complesse del regista più maturo: immagini di diversa provenienza e tipologia. La collaborazione fra Dalì e Hitchcock riguarda invece un solo frammento filmico, che è l'incubo del protagonista di Io ti salverò (1945), in cui il primo ha potuto attuare nel modo più compiuto la sua concezione pittorica del cinema. Ma tutta la produzione del regista inglese è caratterizzata da un'astrazione dello spazio, da costanti formali e ritmiche, da una visione simbolica e onirica che mantiene stretti rapporti con la visione surrealista.
Un libro che invita ad esplorare, attraverso molteplici letture e all'interno di un ampio contesto, l'articolata struttura dell'immagine cinematografica.
|