Speciale NUOVO CINEMA GIAPPONESE - SESSO.ESTREMO.ORIENTE PDF 
di Fulvio Faggiani   

La figura cinematografica della sessualità giapponese, incarnata dalla geisha più o meno disinibita, è spesso sbagliata. Le persone che vivono d'arte, le geishe appunto, non sono l'equivalente delle prostitute ma, tutt'al più, amanti di facoltosi clienti. Anni di manga e cartoni animati forniscono materiale per costruire quel certo immaginario sessuale evidenziato dalle visioni ghezziane. Un immaginario fatto di studentesse maliziose che vestono alla marinara e vendono la loro biancheria intima usata, di regine sadomaso inguainate in PVC, di corde usate per insalumare donne compiacenti, di nuove forme di amplesso meccanizzato.

Il sesso tecnologico? Correva l'anno 1989 quando i [già] molti aficionados di Fuori Orario si imbatterono per la prima volta in un film che li avrebbe segnati profondamente. Tetsuo, il film di Tsukamoto Shinya, nel quale lo spettatore, attonito, assiste alla trasformazione/mutazione di un semplice impiegato in una specie di bio-tank di carne e acciaio pronto a mettere a ferro e fuoco il mondo. Il film-cult, oltre al montaggio ipervelocizzato, possiede almeno due momenti estremi: nel primo si assiste ad un incubo sabbatico nel quale il protagonista, in una specie di danza/scontro con una donna dalla coda guizzante e fallica, viene sodomizzato da questa. Nel secondo momento forte, durante un selvaggio amplesso con la propria fidanzata, Tomoo vede il proprio pene trasformarsi in una trivella. Il destino della donna è segnato.

 Tumefazioni e innesti sono la cifra stilistica di un autore come Tsukamoto, che decisamente non li lesina né in Tokyo Fist [1995], storia di pugilato con volti sprizzanti sangue, ma il cui apice è toccato dai piercing autoinferti della protagonista femminile, né in Gemini [1999], in cui i gemelli divisi alla nascita si scontrano per la donna che amano, dandoci, per quel che riguarda la parte oscura dei due fratelli, la versione filmica delle incisioni erotiche di Utamaro o Hokusai.

Un discorso diverso si deve fare per Miike Takashi, classe 1960 come Tsukamoto, ma più poliedrico nelle scelte filmiche. Basterebbero due titoli come Fudoh - the New Generation [1996] e The Audition [1999] per capire quanto poco abbiano in comune. Per quel che riguarda Fudoh, variante grotesque sul genere yakuza, è spiazzante il modo adottato dalle "donne del boss" per eliminare i capi delle altre bande: utilizzando una specie di cerbottana inserita nella vagina durante i loro spettacoli in un sexy-club, sparano freccette ad altissima velocità in grado di trapassare il cranio, come scoprirà una delle vittime. Se il tono di questo film è [volutamente] pop, ben diverso è quello di The Audition. Quasi nouvelle vague all'inizio, per trasformarsi poi in thriller. La vicenda di un vedovo che, tramite una finta audizione per la propria casa di produzione, cerca la possibile nuova compagna, è destinata ad un epilogo in cui l'angelo del focolare si rivela una spietata e sadica killer. La stessa creazione dell'ambiente per il sacrificio del vedovo richiama scenari da sado-snuff movies con la delicata Asami vestita di guanti e grembiule da macellaio e più che disposta a infliggere pene terribili [tipo spilli negli occhi] al menzognero amante.

Il film è tratto da un racconto di Murakami Ryu, autore e regista di Tokyo Decadence: storia della prostituta ventiduenne Ai e del mondo perverso e senza via d'uscita a cui la legano i suoi clienti. L'arte del legare come strumento di piacere è poi alla base del mediometraggio Undo [1994], per la regia di Iwai Shunji, nel quale la coppia protagonista, partendo da piccoli e innocui nodi, arriva ad un crescendo visivo che occupa l'intera stanza e che nulla ha da invidiare alle tele dei ragni. Il compagno della protagonista, infatti, seguendo la volontà di lei che lo incalza a legarla sempre più stretta, costruirà una vera e propria gigantesca ragnatela che però non sarà sufficiente a tenere l'amata vicino a sé.

Una prospettiva su un nuovo tipo di prostituzione ce la fornisce Harada Masato con il suo film Bounce ko-garu [1997]. Un gruppo di studentesse liceali arrotondano la paghetta settimanale vendendo i loro indumenti intimi in negozi specializzati, allegando una loro foto come garanzia del prodotto per i clienti. Inoltre, partecipano a festini in cui vengono riprese da un forsennato cameraman che le incita a mostrare le mutandine, giocare con i palloncini... E poi il vero culto: il karaoke. Non che vi siano delle varianti sessuali legate al suddetto a noi sconosciute, ma nel film assistiamo ad una vera e propria devianza: lo yakuza a cui si rivolge la leader del gruppo per ottenere i soldi per trarre d'impiccio alcune amiche, la fa salire sul palco e insieme si esibiscono nell'Internazionale, naturalmente al karaoke e, naturalmente, in giapponese. Casi a parte, tipo un viaggio negli Stati Uniti o un aborto da pagare, queste fanciulle si possono considerare vere e proprie fashion-victims, dato che tutti i loro introiti vengono spesi in capi griffati.

Fra gli autori dotati di umorismo che riescono a darci uno scorcio di quello che è l'immaginario sessuale dei giapponesi c'è Sabu con il suo Dangan Runner [1996]. Una storia di inseguimento [un po' il topos dei film di Sabu, in cui i protagonisti in qualche maniera corrono sempre], nella quale, in una scena, i tre corridori, incrociando una donna, fantasticano sessualmente su questa a partire dalla porzione di corpo intravista. Si avrà così uno scenario di tipo classico-casalingo per il mancato rapinatore, un tipo più violento e sadomaso per il commesso rockstar eroinomane, un tipo più sensuale da porno-patinato per il pavido yakuza. Continuando con tematiche yakuza: Chinpira [2001] di Mochizuki Rokuro. La storia del chinpira [letteralmente: teppista] Osamu e della sua storia d'amore con Keiko, la donna del boss. A partire dal lavoro di Osamu, gigolo e procacciatore per i locali notturni, il film è fortemente caratterizzato dalla presenza del sesso, ma questo fatto è facilmente spiegabile attraverso la conoscenza che Mochizuki ha dell'argomento, regista di pink-eiga e fondatore nel 1986 di una casa indipendente, la Porno-Video-Production-E-Staff Union. Nel lungometraggio, Osamu è l'idolo delle donne e, oltre ai vari incontri amorosi con donne del club delle anziane e con la fidanzata Arimi - che in una scena all'inizio del film paga il suo debito con una variante della pratica yakuza: si recide il dito mignolo non con una lama, bensì staccandoselo con un morso - ha un amplesso con Keiko su richiesta dell'impotente e macchiettistico capo del clan Tsukishima, che assisterà piangente allo spettacolo.

Mochizuki è regista di pink eiga, i film equivalenti ai porno occidentali. Vi sono però da fare delle distinzioni tra i due generi. Nei pink non si vedono né gli organi genitali, né atti sessuali espliciti, poiché oltre ad infrangere le leggi dell'EIRIN [l'organo di autocontrollo dell'industria cinematografica], la cui autorizzazione è necessaria per la presentazione in pubblico dei film, entrerebbero anche in conflitto con il comma 175 del codice penale giapponese, che vieta la distribuzione e l'esposizione di rappresentazioni oscene. Nelle scene di sesso manca l'immagine esplicita. Altra differenza tra i pinku e i nostrani porno sta nel fatto che vengono girati in 16 o 35 mm. Questa volontà era dettata dalla capillare presenza di sale cinematografiche specializzate che però ora si sono ridotte a 130 in tutto il Giappone. Va poi sottolineata la peculiarità del low budget per questo tipo di film, di norma 3.500.000 di yen, ma, soprattutto, la vera indipendenza del soggetto. Inserite le canoniche cinque scene di sesso affinché il film sia un pink, il regista è libero di fare ciò che vuole creando delle opere estremamente personali, poetiche e intellettuali come il caso degli shitenno, i quattro re celesti [Sato Toshiki, Sano Kazuhiro, Sato Hisayasu e Zeze Takahisa], oppure nel caso di opere più sperimentali, di celebrità di livello internazionale, come Kurosawa Kiyoshi o Aoyama Shinji. In conclusione, un po' tutta la nuova leva della cinematografia giapponese ha avuto a che fare con il sesso e con le sue devianze, ma questo non deve assolutamente stupire visto che è proprio caratteristica di questi registi una certa poliedricità - Kitano docet - nelle scelte filmiche, anche quando queste sono dettate dagli studios [peraltro in avanzato stato di crisi, ma, come diceva Moustache, «questa è un'altra storia»].

 


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