Ghiro Ghiro Tondo potrebbe rispondere all’antica domanda del buon vecchio, ma sempre attuale, Andrè Bazin: “Che cosè il cinema?”. Si tratta infatti di un’esperienza visiva e cinematografica fuori dal comune e rivelatoria; da un punto di vista contenutistico Ghiro Ghiro Tondo è un videocatalogo, una videoraccolta di centinaia di giocattoli, per lo più ammaccati, e sopravissuti alle due guerre mondiali: dalle bambole fino ai giochi in scatola. Da un punto di vista linguistico, invece, il film riflette direttamente sul cinema, e sul video (visto che gli autori hanno utilizzato una videocamera per le riprese) e più precisamente sul loro senso e valore etico ed estetico oggi. Le chiavi, sembrano dirci i due autori (Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian) sono semplicità e ricerca soggettiva, non dimenticando però l’indagine necessaria sulla verità delle cose, della materia, del reale. È uno sguardo totalmente soggettivo che fa il film, uno sguardo che si fa presenza e che “entra”, anche direttamente con il corpo, dentro il film: in quasi tutte le inquadrature compare infatti la mano dell’operatore, e a volte di un aiutante, che entra per scartare il giocatollo, girarlo, sistemarlo, toccarlo, mentre la videocamera mette a fuoco, si avvicina e si allontana dall’oggetto ripreso in una soggettiva permanente. Così soggetto guardante e oggetto registrato vengono fisicamente in contatto, come se il regista potesse avvalersi di un prolungamento corporeo riuscendo per la prima volta a toccare il reale, l’oggetto della sua visione. Lo sguardo sembrerebbe quasi fotografico, ma in realtà si tratta di uno sguardo esclusivamente cinematografico, perchè vivo e costruito nel tempo, quasi aerobico: a volte si perde la messa a fuoco per poi ritrovarla, spesso lo sguardo è mosso, con avvicinamenti e allontanamenti dall’oggetto ripreso, instaurando anche un dialogo importante con la colonna sonora: il suono entra in contatto e agisce nel sottofondo visivo del film, spesso crescendo, facendosi concreto e protagonista (ad esempio quando il giocattolo è scartato da un pacchetto o quando è il giocattolo stesso ad emettere dei suoni). La semplicità è data dal montaggio: un montaggio a stacco netto, che ripete sostanzialmente sempre la stessa impostazione, come se girassimo le pagine di un catalogo fotografico. Ma qui, come in tutti i film della coppia di cineasti, la materia non è statica o semplicemente ripetitiva: la materia si fa viva, o meglio rivive. I giocattoli, come risvegliati dal loro sonno, rinascono per noi, da vecchi moribondi, spettatori passivi e innocenti complici della storia, sono ora osservati. Ed è una materia consumata, in decadenza, come la pellicola distrutta della trilogia della guerra (opera precedente dei due autori); e come quella celluloide era stata ritrovata e “risvegliata” i giocattoli diventano ora materia inquietante ma preziosa perchè impregnata di passato, di memoria, di storia. Osservando i giocattoli si vedono i segni della guerra (il fascismo, il nazismo), le culture artigiane e industriali, l’inconscio di una collettività. Da lì si deve sempre partire, sembrano dirci Ricci Lucchi e Gianikian, dal nostro passato ritrovato e riesplorato. E da lì deve partire il cinema. Un cinema puro, tanto più essenziale, quanto più poetico e denso. TITOLO ORIGINALE: Ghiro Ghiro Tondo; REGIA: Angela Ricci Lucchi, Yervant Gianikian; SCENEGGIATURA: Angela Ricci Lucchi, Yervant Gianikian; MONTAGGIO: Angela Ricci Lucchi, Yervant Gianikian; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2007; DURATA: 60 min.
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