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di Luca Gricinella   

Laurent Cantet continua la sua indagine sul rapporto uomo/lavoro con un occhio sempre puntato sulle ripercussioni familiari. Una sceneggiatura originale che prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto: un uomo perde il lavoro ma continua a fingere di essere occupato. Al centro della messa in scena c'è lo studio approfondito del personaggio principale, l'evolversi dei suoi meccanismi mentali, la difficoltà di far quadrare i suoi rapporti con il mondo estraneo al suo segreto. Ma il dubbio che Vincent (Aurélien Recoing) nasconda qualcosa non nasce dalla concessione di indizi materiali compromettenti: chi gli sta vicino e lo conosce, dopo settimane, dopo mesi passati ad aspettarlo e a osservarlo, nota un comportamento innaturale. Impiegare il proprio tempo senza un lavoro appare un'impresa ardua, ma poi Vincent trova l'unica persona con cui riesce a confidarsi: un uomo che ha già perso la famiglia e agisce nell'illegalità ma che può capirlo e vorrebbe aiutarlo.

La sceneggiatura di Laurent Cantet e Robin Campillo è un ottimo esempio di scrittura per il cinema, un'opera attenta ad analizzare un aspetto fondamentale della società contemporanea: il lavoro non dà sicurezza, riesce a condizionare anche la vita affettiva, ed è scontato intenderlo, sempre più spietatamente, come metro per giudicare chi ti sta di fronte. Così si passa, accompagnati dalle efficaci musiche originali di Jocelyn Pook, dalla confusione alle paure, dalle frustrazioni all'umiliazione e si rischia di compromettere tutto. Nella scena finale l'attore protagonista riesce a condensare tutta questa situazione di smarrimento in un'espressione più che eloquente.

Già nel mediometraggio Les sanguinaires (1997), che ha preceduto l'esordio al lungo Risorse umane (1999), Laurent Cantet, seppure meno esplicitamente, indagava sull'alienazione e sugli effetti di quello stress difficile da scrollarsi di dosso, fonte costante di insoddisfazione e di un nervosismo che limita la propensione a un relax davvero tale. Un film commissionato al regista dalla televisione franco-tedesca Arte all'interno del progetto L'An 2000 vu par..., e che può essere considerato il primo episodio di una lucida trilogia sviluppata attorno al tema lavoro. L’emploi du temps rappresenta finora l’apice di questa indagine sociale calzante a tutti i paesi dell’occidente politico, insomma agli esponenti del capitalismo più benestante. Il film è stato premiato alla 58. edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Cinema del Presente, con il Leone dell'Anno.

 


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