L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza PDF 
Matteo Demichelis   

ImageIl brasiliano Cao Hamburger, regista di serie televisive molto apprezzate dai critici in patria, con il suo secondo lungometraggio ci immerge nell’universo senza bussola di un ragazzino brasiliano alle prese con l’involontario sradicamento dalla sua famiglia. È l’estate del 1970 quando i genitori caricano affrettatamente il piccolo Mauro in auto per lasciarlo a casa del nonno, a San Paolo. Gli promettono di rivedersi all’inizio dei mondiali di calcio. Incomprensibilmente non lo accompagnano fino all’appartamento, ma ripartono velocemente per una “vacanza”. Nessuno sta aspettando Mauro. Il nonno non arriverà mai, mancato poco tempo prima per un attacco improvviso mentre rasava un cliente nel suo negozio da barbiere. Il vicino di casa, un anziano ebreo dai modi burberi, si vede così costretto ad ospitare il ragazzo. Sottopone il caso alla comunità ebraica del quartiere, che si prende subito a cuore il destino di Mauro, vedendo in lui un orfano al pari di un piccolo Mosè.

Il centro pulsante del racconto si assesta, da ora in poi, sulla descrizione del lento adattamento del piccolo Mauro al nuovo ambiente multietnico di Bom Retiro, un quartiere abitato specialmente da immigrati greci, italiani e arabi. In principio, prevale la diffidenza verso una comunità dalle tradizioni molto lontane da quelle cattoliche della famiglia d’origine. Le immagini riportano un continuo andirivieni tra nuovi riti quotidiani e scorribande con i ragazzi del quartiere, fino al punto di svolta: l’inizio dei mondiali, ovvero la promessa del ritorno a casa. Il ragazzo attende inutilmente alla finestra mentre il televisore trasmette la telecronaca della partita. L’unico legame con la famiglia si viene a stabilire, nella seconda parte del film, per il tramite di uno studente italiano, amico del padre di Mauro. Poco dopo lo troviamo in fuga dalle retate della polizia. E qui risaliamo, finalmente, al significato politico della “vacanza”: l’attivismo dei familiari di Mauro contro la dittatura militare che ha governato nel paese fino agli anni Ottanta. Anche l’anziano ebreo verrà trattenuto temporaneamente dalla polizia con il sospetto di essere un comunista. Ma a parte questi brevi episodi in cui si squarcia il velo della quotidianità con gli echi del tempo, il resto è una descrizione folcloristica della colorata comunità di Bom Retiro. E rimane una sensazione di staticità, attribuibile sostanzialmente a una mancata evoluzione del personaggio. Per questo non si può parlare di un film di crescita o di formazione: l’unica evoluzione nasce sull’onda dei successi della squadra brasiliana, quando il ragazzo decide che il suo ruolo sarà il portiere, perché è il mestiere più difficile, perché “il portiere non può sbagliare mai”, a differenza di tutti gli altri giocatori.

L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza non è un film sul calcio, e nemmeno sulla politica brasiliana degli anni Settanta. È il ritratto di un milieu. Un plauso va al giovanissimo attore protagonista, Michel Joelsas, bravo a esprimere con durezza il suo sopravvivere agli eventi che non può decifrare. Lo stile visivo è comunque molto curato e il film ben confezionato, co-prodotto dal regista brasiliano Fernando Meirelles (The Constant Gardener, City of God).

TITOLO ORIGINALE: O ano em que meus pais saíram de férias; REGIA: Cao Hamburger; SCENEGGIATURA: Claudio Galperin, Cao Hamburger, Bráulio Mantovani, Anna Muylaert; FOTOGRAFIA: Adriano Goldman; MONTAGGIO: Daniel Rezende; MUSICA: Beto Villares; PRODUZIONE: Brasile; ANNO: 2006; DURATA: 110 min.

 


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