Un uomo senza cuore, che si è costruito una corazza. Tony Stark, miliardario, donnaiolo, mercante d’armi, e quindi di morte, è proprio così quando inizia Iron Man, tratto dal famoso fumetto Marvel. Il suo sarcasmo, la sua freddezza, il suo cinismo, emergono fin dalle prime battute, mentre si trova su un convoglio in Afghanistan, dove si reca per una dimostrazione delle armi che produce di fronte all’esercito americano. In seguito a un attentato viene fatto prigioniero dai talebani e resta in vita grazie a una sorta di cuore artificiale. Con ciò che rimane delle sue armi costruisce un’armatura e diventa Iron Man. Stark/Iron Man era “senza cuore” quando ne possedeva ancora uno. Ma nel momento in cui ne ha uno nuovo anche la sua indole cambia. Aveva messo una corazza, fatta di disimpegno, profitto e cinismo, tra sé e il mondo. E proprio nel momento in cui la nuova corazza di metallo lo protegge, quella ideale si sgretola: non semina più morte, ma salva la gente. È questa la metafora più evidente della storia di Iron Man. Ma non è la sola chiave di lettura del film. Iron Man, il fumetto, nasceva negli anni Sessanta come metafora della presenza americana in Vietnam, come eroe che combatteva il comunismo: il suo acerrimo nemico era tale Mandarin, simbolo proprio del pericolo “rosso” che animava tutta la politica, interna e internazionale, degli Stati Uniti. Iron Man, in questo senso, è un tipico eroe nato dalla Guerra Fredda, ed è evidente come in una sua riproposizione in chiave contemporanea fosse necessario cambiare qualcosa. Non siamo più durante la Guerra Fredda, e nemmeno nel periodo di pace che l’ha seguita, dopo la caduta del muro di Berlino. Tuttavia, dal 2001 la guerra è di nuovo presente: è quella al terrorismo, i nemici sono i talebani. Iron Man combatte anche loro, in Afghanistan. Ma soprattutto è qualcuno che cambia idea, e da produttore di armi decide di produrre una tecnologia che sia utile ad aiutare le persone. A evitare la morte invece che a procurarla. Iron Man, allora, è ancora attualissimo per raccontare un’America divisa tra impegno militare e crisi di coscienza. La sua scelta, questa presa di coscienza ben precisa, sembra seguire il mea culpa e il ravvedimento dell’opinione pubblica americana, prima favorevole ai conflitti in Iraq e in Afghanistan, quindi tornata sui propri passi, consapevole che forse queste guerre non sono state il modo migliore per affrontare i problemi. Quella dell’America è un’anima divisa in due, che in questo film è resa benissimo da Robert Downey Jr.: la sua fragilità, la sua follia, il suo ego sono perfetti per raccontare un personaggio controverso, figlio di una nazione e di un’epoca controverse. Finalmente vediamo un eroe sfaccettato e descritto a tutto tondo. E in questo senso si rivelano vincenti alcune scelte di regia: come quella di puntare molto sui personaggi “umani” prima ancora che sui supereroi, e come quella di inquadrare il più possibile i volti dei protagonisti (degno contraltare di Downey Jr. è il villain di Jeff Bridges), anche quando sono dentro le loro corazze, in modo che di fronte si ha sempre e comunque un confronto tra esseri umani e non tra pupazzi inespressivi. Funziona anche la scelta di alternare effetti speciali digitali a corazze costruite e indossate veramente dagli attori, che conferiscono loro una sorta di pesantezza, di corporeità molto distante da un banale “effetto videogame”. Inoltre, per delle creature fatte di metallo è ottima la scelta di una colonna sonora a base di hard rock: da antologia l’inizio in Afghanistan sulle note degli AC/DC. Curioso, infine, il fatto che Stan Lee si sia ispirato ad Howard Hughes per creare Tony Stark, e che alcuni set siano stati poi allestiti in quelli che erano i suoi hangar. Iron Man allora può essere considerato anche una versione pop e postmoderna di The Aviator: ci mostra un supereroe, ma parla di un uomo. Il film è come il protagonista: gli effetti speciali ne sono l’armatura, ma dentro c’è l’anima. TITOLO ORIGINALE: Iron Man; REGIA: Jon Favreau; SCENEGGIATURA: Arthur Marcum, Matthew Hollaway, Mark Fergus, Hawk Ostby; FOTOGRAFIA: Matthew Libatique; MONTAGGIO: Dan Lebental; MUSICA: Ramin Djawadi; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 126 min.
|