La casa sulle nuvole PDF 
Angela Cinicolo   

Distopie precostituite, uomini vinti, spazi zoomorfici: l’opera prima di Claudio Giovannesi è congegnata all’ombra degli equilibri e controbilanciata da una scrittura succintamente armonica. Giocata tutta sulle schermaglie perfettamente orchestrate tra dicotomie complementari come casa-libertà, padri-figli, Italia-Africa, amore-odio, La casa sulle nuvole si destreggia con freschezza, e qualche imprecisione tecnica sintomatica dell’acerbità registica, nella dialettica tra la storia umana, diversificata rispetto al trend nostrano delle reiterate formule sentimentali, e il diario di viaggio. In un’emblematica esplorazione oltre confine delle proiezioni familiari e psicologiche, la ricerca della casa perduta si arena nelle secche di uno snodo drammatico che Giovannesi prova a configurare come un contrappunto tagliente facendo anche affidamento su una colonna sonora ben assortita dallo stesso regista con  Enrico Melozzi.  

Michele e Lorenzo sono due fratelli che vivono sotto lo stesso tetto. Il primo ha superato i trenta e si occupa dell’allevamento di cani, coi quali ha in comune una natura anarcoide e istintuale, il secondo, più piccolo di circa dieci anni e più ingenuo, è un musicista jazz che sogna di esibirsi in America. Quando ai due viene comunicato che la loro casa è stata venduta, le loro strade sembrano deviare dalle quotidianità differenti per stagliarsi  in un orizzonte comune con destinazione Marrakech, il luogo in cui abita l’italiano che sembra abbia comprato la loro casa e il posto in cui si è rintanato da anni il padre, dopo averli abbandonati. Giunti a destinazione le loro vite finiscono però per impegolarsi  nella vita del padre, ritrovato come un doloroso ricordo carsico negato. L’uomo chiede infatti ai figli di restare almeno per partecipare al suo funambolico vernissage. Ma il passato non si cancella coi nuovi battiti cardiaci.

Il road movie è anche un film di formazione, che segue e percorre le tappe di una crescita, o di un’involuzione, dei suoi protagonisti. Il carattere finalistico lo caratterizza nel segno di una consequenzialità quasi predeterminata allo sguardo dello spettatore, che partecipa con una certa emozionalità all’esperienza vitale del personaggio identificandosi in quell’alterità che lo specchio schermico pone nella differenza piuttosto che nell’assenza. Il più celebre in questo senso resta il trip avventuriero, fino all’ultima accelerazione, di Thelma e Louise. Qui siamo su un versante completamente differente: la meta è doverosa e il ritorno finale si disporrà per simmetria al prologo, nell’emblema di una vacuità dei gesti e di una fragilità delle relazioni che si azzera, dopo aver tentato la parabola del padre prodigo che torna all’ovile coi figli abbandonati. I protagonisti sono immersi in un paesaggio che quasi li inghiottisce e che, al contrario dei film antonioniani, non costruisce chi lo calca, ma tende ad annientarlo, a risucchiarlo nella sua accecante luce del giorno e nella sua impenetrabile oscurità notturna. Il tratto documentaristico (Giovannesi aveva girato nel 2005 il reportage Appunti per un viaggio in Marocco) rende onore a Marrakech riflettendo le sue dissonanze geografiche e climatiche come aveva già fatto Salvatores nel suo Marrakech Express, non a caso il primo film della sua “trilogia della fuga”: un epicentro del turismo e un alveare del vuoto. Di giorno un formicaio fitto di presenze le cui sagome sono deformate dal caldo desertico in ombre sfumate. Di notte spazi liberi, sotto cieli testimoni di trasgressioni immorali, che impongono sconvolgenti prese di coscienza. In queste dimensioni gli imprenditori italiani si accomodano e s’arricchiscono, gli artisti italiani si crogiolano tra la creatività e la promiscuità sessuale, i turisti italiani casuali si stringono nella morsa del disorientamento e dello stupore. L’esoticità si mescola con aloni di esoterismo spicciolo, che ingloba fiere che s’avventano malevole su uomini di mezz’età e animali da rettilario innocui e impotenti.

Nel risucchio paesaggistico, le caratterizzazioni psicologiche dei protagonisti, interpretati dal figlio d’arte Giannini, qui cupo e crespo come il suo sguardo accigliato, dall’esordiente Emanuele Bosi, che ricorda il primo Rossi Stuart, e dall’attore teatrale Emilio Bonucci, restano solo accennate. Il triangolo familiare irrisolto evoca fin dall’inizio un pathos che però resta impalpato dagli spettatori, che rinunciano all’impasse familiare con la conciliazione del padre prodigo coi figli abbandonati per una meno inestricabile metafora dell’ovile extraterreno dotata di una certa suggestiva intensità, e intenzionalità, poetica e visiva, ma estenuato nel significato analogico. La felicità che i protagonisti (e gli spettatori?) credevano, o speravano, di trovare si disperde tra il mal d’Africa e il deserto che imprigionano lo sguardo tra le nuvole e una mongolfiera surreale e gitana come una lontana filmografia serba.

TITOLO ORIGINALE: La casa sulle nuvole; REGIA: Claudio Giovannesi; SCENEGGIATURA: Claudio Giovannesi, Francesco Apice, Matteo Berdini, Filippo Gravino; FOTOGRAFIA: Tommaso Borgstrom; MONTAGGIO: Giuseppe Trepiccione; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 103 min.

 


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