I lettori più affezionati di Nick Hornby sapranno indovinare in anticipo cosa nei romanzi dell’autore inglese attira le simpatie dei produttori cinematografici: la giusta dose di britishness, le passioni (per lo più mascoline) per la musica e il calcio e un impunito scapoleggiare che si trascina oltre il tempo consentito dalla società. È questo, infatti, il filo rosso che lega Febbre a 90° ad Alta Fedeltà (2000) e About a Boy (2002), tutti e tre tratti dalla prima produzione dello scrittore. Quello diretto da David Evans nel 1997, e che annovera lo stesso Hornby come sceneggiatore, è quindi il primo di una serie di fortunati riadattamenti (per coincidenza, l’ultimo sarà il remake dei fratelli Farrelly targato 2007, che sposta la scena dall’Inghilterra agli USA, mantenendo lo stesso nome). Il trentenne tiratardi di turno è uno scapigliato Colin Firth, ovvero Paul. Professore di letteratura per hobby e tifoso dell’Arsenal per vocazione - per ben diciotto anni, da quando il padre lo portò per la prima volta allo stadio -, non conosce ambizioni che non siano quella di veder vincere il titolo alla sua squadra, almeno finché l’incontro con la collega Sarah (Ruth Gemmell) lo costringe a risistemare le sue priorità.
Con i tempi ristretti a un’unica stagione, quella dell’88-89 - quando nel romanzo i giochi partivano dal 1962 -, la pellicola lavora per sottrazione anche sul resto, ricostruendo la vita da tifoso del protagonista per analessi e poche scene “di impressione” e cercando di aggirare i picchi empatici della sua vicenda. Una scelta che può apparire sbrigativa, o addirittura paradossale, visto che in fondo è soprattutto di passione, e di compassione - nel senso etimologico del “patire insieme” - che si parla. Le dinamiche del calcio giocato qui non interessano e a malapena vengono mostrate: la prospettiva sta tutta dalla parte del tifoso, di chi parteggia e soffre senza un perché, se non quello, proverbiale, dell’attaccamento alla maglia. Una vera fede che, dall’alto della sua razionalità “adulta”, Sarah non riesce a capire, mentre invece Paul la vive da integralista, sacrificando vita e carriera sugli altari del pallone.
Ma la chiave di volta dal modo quasi compulsivo di vedere (e mostrare) il calcio non risiede tanto nel tifo in sé, quanto nella comunità dei tifosi: quell’orda di scalmanati che nello stadio aveva quasi schiacciato la giovane professoressa, sarà la stessa che sul finale si riverserà nelle strade di quartiere, come per abbracciarla. È la scena decisiva, quella che meglio rivela il lato umano e sociale della passione calcistica, uno “spirito di squadra” che chi tifa, anche più di chi gioca, può comprendere fino in fondo.
Titolo originale: Fever Pitch; Regia: David Evans; Sceneggiatura: Nick Hornby; Fotografia: Chris Seager; Montaggio: Scott Thomas; Scenografia: Michael Carlin; Costumi: Mary-Jane Reyner; Musiche: Boo Hewerdine, Neil MacColl; Produzione: Channel Four Films, Scala Productions, Wildgaze Films; Distribuzione: Mikado; Durata: 102 min.; Origine: Gran Bretagna, 1997
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