Che Rear Window sia uno di quei film che riflettono sullo statuto del mezzo cinematografico, sulle caratteristiche dell’immagine filmica, nonché sull’esperienza spettatoriale, è cosa ben nota. Nonostante Hitchcock celi gli elementi metalinguistici nel tessuto diegetico, è possibile notare un ragionamento profondo e articolato che spazia dalle modalità costruttive del racconto visivo alle componenti tecnologiche e linguistiche di cui la grammatica filmica si avvale, passando per l’esame del rapporto che si istituisce in sala tra spettatore ed immagine schermica.
Molti critici e studiosi di cinema si sono soffermati sul metalinguaggio presente in Rear Window giungendo alla formulazione di analisi che hanno avuto grande fortuna. Di seguito si tenterà brevemente una nuova lettura del film che certo non vuole negare la validità degli studi precedenti, anzi, partendo da questi vuole estendere il discorso ad una possibile analisi di elementi che rinviano non solo al cinema, ma anche al teatro. Il film si apre con i titoli di testa sullo sfondo di una finestra tripartita, dove ciascuna parte di questa è coperta da altrettante tende che ricordano inequivocabilmente il sipario teatrale. Una alla volta le tende vengono alzate, ma da chi? L’impressione è che vengano tirate su da un siparista extradiegetico, che non vedremo mai. La tenda/sipario, elemento che ricorrerà più volte nel corso del film, separa i due ambienti principali della pellicola: l’appartamento nel quale il voyeur Jeff trascorre la sua degenza e il cortile sul quale si affacciano gli appartamenti abitati dagli altri personaggi.
L’atto di alzare la tenda/sipario non solo segna l’inizio di uno spettacolo che enuncia fin da quel momento la propria caratteristica di dispositivo teatrale, ma consente anche l’accesso scopico dello spettatore, limitato al solo tempo della “rappresentazione”, allo spazio del cortile, superficie di rappresentazione scenica degli eventi che interessano la narrazione. Anche gli elementi tecnologici di cui Jeff si avvale per il potenziamento della propria vista, reflex e binocolo, ricordano gli oculari che vengono adoperati a teatro dal pubblico posizionato nelle gallerie per seguire meglio gli spettacoli. Lo spazio del cortile viene presentato da Hitchcock attraverso l’impiego di alcuni sofisticati movimenti di macchina, che non solo contribuiscono a definire gli ambienti di attinenza del film enfatizzando la materialità dello spazio che ci viene presentato, ma rinviano ad una continuità nell’inquadratura in direzione del tempo reale. Dunque i riferimenti teatrali non sono veicolati dal film solo attraverso elementi simbolici, ma anche attraverso scelte stilistiche. Il film a livello narrativo sembra essere diviso in due parti, o meglio in due atti, scanditi da altrettante aperture e chiusure di sipario: la scena che dividendoli funge da “intervallo” è quella che precede la morte del cane, quando Lisa decide di “calare il sipario” dicendo a Jeff: “Show is over for tonight”. La visione degli spettatori, diegetici e non, viene interrotta e non riprenderà fino a quando le tende non saranno nuovamente alzate.
Il personaggio di Jeff è stato considerato per molte ragioni paragonabile ad un ideale spettatore cinematografico, tuttavia durante il film sono evidenziati importanti elementi che portano ad una completa sfaldatura nel rapporto di analogia tra Jeff e il suo status di spettatore. E’ importante notare, partendo proprio da questi elementi discrepanti, come il personaggio interpretato da James Stewart possegga diverse affinità con un ideale spettatore teatrale. Innanzitutto nel cinema il soggetto percettivo è sempre omesso, mentre in Rear Window è tangibile tanto quanto i personaggi oggetto della visione. Inoltre, nella penultima sequenza del film vi è un episodio che determina la completa disgregazione dell’analogia tra Jeff e lo spettatore cinematografico: lo sguardo di Jeff viene scoperto e ricambiato da Thorwald. E’ facilmente constatabile che questi elementi che allontanano Jeff dal suo status di spettatore cinematografico, hanno ben poca rilevanza se in una nostra analisi affrancassimo a Jeff lo statuto di spettatore teatrale; a teatro, infatti, sia lo spettatore che gli attori condividono l’ambiente della sala e non è impossibile un contatto visivo o fisico tra questi, tantomeno un diretto coinvolgimento, seppur forzato, dello spettatore nella diegesi, proprio come accade nel finale di Rear Window.
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