L’illusione genera esperienza. Finisce con il definire la nostra identità. È così da tutto il Novecento, il secolo d’oro dei media audiovisivi che hanno espanso il ruolo in passato dominato dalla fantasia, dalle grandi narrazioni, dai miti e dall’arte in generale. Si sono fatti carico della missione di abituarci a vivere e frequentare una dimensione intermedia tra il reale e la finzione. Ma oggi i media rappresentano ancora un ponte tra reale e immaginario? O negli spazi digitali si consuma e produce esperienza senza bisogno di un chiaro rapporto con la realtà? Questi i presupposti e i quesiti messi in campo da Federico di Chio, che ha indagato la contemporaneità nel suo volume edito da Bompiani, utilizzando strumenti di ricerca accademici e, in contrappunto, conversazioni con autori cinematografici italiani.
La struttura del testo è costruita intrecciando interventi d’analisi di diversa misura, in grado di aspirare ad una vita autonoma. Si parte affermando la necessità dell’illusione al fine di “sospendere la realtà per poterla affrontare; metterla a distanza per starle più a ridosso; trasfigurarla con l’immaginazione per poterla (ri-) vivere più intensamente. Estrarre da questa dimensione intermedia delle risorse simboliche preziose, da spendere poi nell’esistenza quotidiana”. Di Chio svela quello che ritiene essere il “nocciolo esperienziale dell’illusione: godere di un accesso nuovo e produttivo al nostro mondo e alle nostre vite, attraverso la proiezione in altri mondi e altre vite”. Ci ricorda la radice latina del termine illusione, mettendo a fuoco ancor meglio l’idea ludica alla base dell’atto illusorio. In-ludere, ovvero “entrare in una dimensione ludica e fantastica, in cui si crede senza credere, sostando nella terra di mezzo tra realtà e immaginazione”. Nel capitolo La materia di cui sono fatti i sogni ci si interroga sul nesso tra rappresentazione e realtà, individuando quest’ultima nell’effetto di un discorso cinematografico che la trasfigura, la re-inventa. Affermazioni di Giuseppe Tornatore, Ettore Scola, Dario Argento e Bernardo Bertolucci guidano le riflessioni dell’autore, come costruissero il simulacro di un dibattito se non esisito, almeno evocato (le citazioni non vengono presentate come il resoconto di una tavola rotonda, bensì rappresentano stralci di discorsi autonomi su un argomento comune). Si tratta in fondo, dunque, di un gioco. L’autore del testo applica la metodologia che sta analizzando alla struttura dello stesso. Il risultato è l’illusione di una discussione che al lettore pare reale, confermando la teoria espressa. Anche dichiarazioni di Gabriele Muccino e Ferzan Ozpetek trovano spazio in questo “dialogo”, che mette a fuoco pagina dopo pagina l’evidenza della condizione spettatoriale come stato di coscienza ambivalente (credo vs non credo).
Nella seconda parte del libro l’autore si interroga invece sul passaggio tra modernità e postmodernità, evidenziando l’abitudine del pubblico a immedesimarsi in racconti audiovisivi sempre più frammentari, che strizzano l’occhio a quello che è stato definito lo spettatore-consapevole, ma sottolinea anche le maggiori difficoltà di tenuta del patto spettatoriale, messo a dura prova in nome di una spettacolarità che confina con il disincanto. “Insomma, nel mondo postmoderno, non ci stupiamo di constatare la crisi del racconto come esperienza guidata di senso”. Le tecnologie digitali, inoltre, vengono analizzate in quanto responsabili di una mutazione della natura dell’immagine, che non è più “impronta” del mondo. Si rinnova lo statuto delle immagini (ibridate da interventi di postproduzione o addirittura generate con l’ausilio di computer graphics) e di conseguenza si alterano gli equilibri nel gioco dell’illusione. E, dunque, nel capitolo La materia di cui sono fatti i segni si pongono quesiti sui mondi virtuali rappresentati dalle immagini, dall’epoca digitale in avanti: si tratta di immaginazione senza realtà alla base. Illudersi diviene un’attività più difficile, ma sempre necessaria: è la ricerca di un equilibrio tra le nuove istanze dell’epoca della disillusione. Ogni frammento del testo di Di Chio ricompone uno scenario che va a delinearsi pagina dopo pagina. Un grande universo di riferimento, dove realtà e finzione vengono scandagliate alla ricerca della verità sul destino delle illusioni.
TITOLO: L’illusione difficile. Cinema e serie tv nell’età della disillusione; AUTORE: Federico Di Chio; EDITORE: Bompiani (collana Studi e Strumenti); ANNO: 2011; PAGINE: 320; PREZZO: 18,50€
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