L'uomo nero PDF 
Viviana Eramo   

Sergio Rubini torna dietro la macchina da presa per confermare ancora una volta le sue ossessioni di sempre. Il Sud, i rapporti familiari, i treni e le stazioni riappaiono ne L’uomo nero come fantasmi mai sopiti, visibili e rintracciabili fin dall’opera prima del regista. Il ferrotranviere de La stazione trascorre la sua concitata notte di lavoro in luoghi che, manco a dirlo, sono più che familiari per il protagonista de L’uomo nero, anch’egli interpretato da un Sergio Rubini nei panni di un capostazione. La piazzetta di Mesagne, poi, è fulcro sociale e “politico” della vita del paesino negli anni Sessanta (raccontati da quest’ultimo film), come ai giorni nostri de La terra, dimostrando quanto il tempo faccia fatica a scalfire l’aspetto (urbanistico) di questi luoghi. Ma le affinità che corrono lungo i film da regista di Sergio Rubini non si fermano certo alle location. A pervadere in profondità il suo cinema sembrerebbe piuttosto il desiderio di raccontare forse ciò che conosce meglio, ciò che inestricabilmente fa parte della sua autobiografia, un modo per  narrare in ogni caso qualcosa di se stesso, se barando o meno ha poca importanza.

Ne L’uomo nero ritorna la figura del ferrotranviere (il vero mestiere del padre), centrale nell’immaginario del regista. Qui infatti il suo personaggio lavora alla stazione e nel tempo libero si dedica alla pittura, con una dedizione encomiabile. Organizzerà una mostra delle sue opere nel paese, ma via via la sua passione si trasformerà in ossessione e a farne le spese sarà la sua famiglia: la moglie insegnante (Valeria Golino), il fratello di lei, scapolo incorreggibile che vive con loro (interpretato da un Riccardo Scamarcio piuttosto credibile) e il piccolo protagonista, al quale appartiene il punto di vista dell’intero film. È infatti il bambino ormai diventato adulto (Fabrizio Gifuni), accorso al capezzale dell’anziano ferrotranviere, ad innescare il lungo flashback sulla sua infanzia, per mezzo del quale riscopre, con occhi uguali e diversi, la sua vita di allora. Ecco allora riaffiorare il tema della terra natia a cui si ritorna solo dopo essersi allontanati e in cui niente sembra cambiare, secondo una contrapposizione evidente tra ciò che il Sud, con le sue campagne o la sua industrializzazione forzata, rappresenta e ciò per cui, invece, quei luoghi si lasciano, le grandi città che mai si vedono e in cui si va a fare carriera. A quella terra, tuttavia, è necessario ritornare per ritrovare le proprie radici, stabili in una tradizione che è sinonimo di famiglia e che, volenti o nolenti, ci forma nel profondo. Rubini regala al bambino apparizioni “precinematografiche” (come succede, in altro modo, in Baarìa di Tornatore), come a prefigurare quel possibile talento il cui riconoscimento sembra invece essere negato al padre. Quella che, infatti, dovrebbe essere solo una passione, contrapposta a un lavoro sicuro e remunerativo, diventa per il padre la possibilità di essere accettato dai nomi importanti del paese, tra cui figura addirittura un critico d’arte. La commedia allora si colora di toni maggiormente amari e al populismo genuino si sostituisce l’accanimento di un uomo che tenta di affermare se stesso di fronte ad un critica che invece non riconosce la sua opera proprio perché accecata dall’umile provenienza dell’artista.

Ecco dunque, ancora una volta, i temi  e i nodi cari al regista che, di nuovo, egli piega a contenitori di volta in volta diversi. Si pensi alla commedia adolescenziale di Tutto l’amore che c’è, o al “mistery” de La terra, o ancora al primissimo La stazione. Come un bravo cuoco, Rubini sceglie spesso gli stessi ingredienti, quelli che incontrano maggiormente il suo gusto personale, per cucinare di volta in volta torte uguali e diverse, continuando ossessivamente e onestamente a raccontare il suo “piccolo mondo”. Qui vi riesce con tratto sicuro, arrivando a confezionare un film in buona misura equilibrato, che parla a tutti noi, con semplicità e non senza una buona dose di intelligenza.

TITOLO ORIGINALE: L’uomo nero; REGIA: Sergio Rubini; SCENEGGIATURA: Domenico Starnone, Carla Cavalluzzi, Sergio Rubini; FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti; MONTAGGIO: Esmeralda Calabria; MUSICA: Nicola Piovani; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 116 min.

 


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