Don Camillo e l'onorevole Peppone PDF 
Fabio Fulfaro   

Ricordate: nel segreto della cabina elettorale Dio vi vede, Stalin no! (Giovannino Guareschi)

Sulla scia del successo dei film precedenti (Don Camillo del 1952 e Il ritorno di Don Camillo del 1953 entrambi firmati dal francese Julien Duvivier) nel settembre del 1955 esce il terzo episodio della saga catto-comunista creata dalla fervida fantasia di Giovannino Guareschi. La regia è affidata a Carmine Gallone che viene dalle recenti fatiche di riduzioni di opere liriche (Madame Butterfly e Casta Diva) e che imposta il tono della commedia cercando un compromesso tra gli astratti furori di Guareschi (che nel frattempo va in prigione per vilipendio a De Gasperi) e le feroci ghigliottine della censura che già avevano ampiamente sfigurato le versioni “italiane” dei primi due episodi. Il clima politico di quegli anni è molto acceso e gli scontri tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano sono all'ordine del giorno: ancora non sono avvenuti i fatti di Ungheria e le rivelazioni di Krushev sugli eccidi di Stalin, ma la contrapposizione è abbastanza netta e costellata da episodi non molto edificanti. L'Italia è in piena trasformazione socioculturale, tra ondate di migrazione verso il nord, il cambiamento da una società contadina a quella industrializzata, la motorizzazione (il 1955 è l'anno della presentazione della 600) e il dilagare della televisione (il debutto è di un anno prima, il 1 gennaio del 1954, anche se solo poche famiglie abbienti  possono permettersela). Usa e Urss sono nel periodo della Guerra Fredda e lo spettro di un ennesimo conflitto mondiale è sempre incombente.

Giovannino Guareschi interpreta molto bene le contraddizioni di un popolo che porta ancora addosso le ferite di un sanguinoso conflitto civile e che è dibattuto tra il retaggio cattolico e le spinte progressiste. Pur essendo, a detta dei più, monarchico, reazionario e anticomunista, lo scrittore parmense ha lo sguardo puro dell'artista che analizza con ironia finissima e onestà intellettuale difetti di amici e nemici, senza ammiccamenti e servilismi verso i potenti. E questa, in un paese bigotto e ipocrita come il nostro, è una colpa imperdonabile che porterà Guareschi, scrittore italiano tra i più letti nel mondo, all'isolamento e alla solitudine degli ultimi anni della sua vita (morirà di infarto nel 1968 a soli sessant'anni). Pur essendo passati ormai dieci anni dalla fine della guerra, l'ombra del secondo conflitto si staglia terribile sui contenuti della campagna elettorale (la colomba della pace) e lascia pesanti reliquati corazzati (un carrarmato americano nascosto in un podere conteso) per un paese definito da Peppone “un porto di mare”, prima invaso dai tedeschi poi colonizzato dalle forze atlantiche. Le donne si fanno portatrici del messaggio di pace e di solidarietà e, nonostante le evidenti resistenze maschili, i discorsi della “compagna” Clotilde trovano un immediato e vasto consenso trasversale, oltre che l'inevitabile approvazione estetica.

Don Camillo e Peppone riassumono pregi e difetti del piccolo mondo (antico) contadino di una Italietta ancora sospesa tra modernità e folclore: da una parte il prete sanguigno, manesco, combattivo che parla direttamente con il Cristo in croce (ai tempi era quasi un sacrilegio far parlare il Crocefisso con una voce umana) e che tenta di arginare l'avanzata dei comunisti “trinariciuti” dall'“obbedienza cieca pronta e assoluta” secondo il modello sovietico. Dall'altra il sindaco comunista del paese Giuseppe Bottazzi, detto “Peppone”, che interpreta le istanze rivoluzionarie della classe contadina e operaia, che è orgoglioso del suo passato di partigiano e combatte la forza reazionaria del movimento cattolico utilizzando anche metodi di autopromozione megalomani (un enorme autoritratto sul modello staliniano subito oltraggiato da Don Camillo, che lo trasforma nella caricatura di un diavolo). Eterna lotta tra il diavolo e l'acquasanta, ma senza una separazione manichea dei ruoli, Don Camillo compra il giornale comunista con soldi falsi e Peppone ruba i polli del suo antagonista: Brescello (in provincia di Reggio Emilia) è il set ideale di questa diatriba, con la piazza del paese in cui chiesa e ufficio del comune stanno simbolicamente una di fronte all'altro. E proprio nella piazza avvengono le importanti riunioni e i comizi elettorali, la vendita dei giornali di propaganda politica o le proteste degli allevatori sloggiati dalle proprie terre (con la provocazione di un vitello posizionato dentro l'ufficio del sindaco in una immagine surreale).

Se pensiamo al clima avvelenato dei nostri tempi e alle nefandezze che hanno contraddistinto le ultime elezioni politiche, gli screzi e i colpi bassi tra Peppone e Don Camillo ci sembrano sorprendentemente innocenti. Tutti e due i personaggi, pur nella feroce e cocciuta difesa dei propri ideali, posseggono di fondo una bontà d'animo e una disposizione al perdono che li avvicina nei momenti difficili, facendoli solidarizzare. Emblematica è la scena del comizio di Peppone che parte con un pistolotto anti nazionalista (“la patria siamo noi! La patria è il popolo!”) e poi, nel momento in cui risuona nell'aria la canzone del Piave, vira improvvisamente con un discorso enfatico sui patrioti che hanno dato la loro vita per il bene della nazione, confondendo monarchia e repubblica, colombe della pace e sacri confini inviolabili, sotto lo sguardo costernato del dirigente inviato da Roma che prova inutilmente a bloccarlo. Lo stesso Peppone fa trapelare più volte, sotto il manifesto del “baffone proletario”, un'anima conservatrice che lo porta in chiesa ad accendere ceri giganteschi per ottenere grazie e a fermarsi in tempo dalle tentazioni con la compagna Clotilde, la cui libertà e intraprendenza sembrano minare il suo menage familiare. Ma ci penserà Don Camillo a ricondurre le proteste della moglie di Peppone lontano dai tormenti sentimentali del contemporaneo Pane Amore e..., altra serie di straordinario successo di questa metà degli anni Cinquanta.

Fernandel e Gino Cervi riescono a donare ai personaggi di Guareschi una vitalità e una empatia considerevoli, mostrando un'intesa perfetta, da coppia rodata e navigata: i tempi dei dialoghi sono serrati e scanditi da battute rapidissime; la loro mimica faciale, prima irrigidita nei ruoli che devono osservare, ad un certo punto si trasforma in strizzatina d'occhio, in sorriso di bonaria comprensione. Nel momento delle difficoltà i due uniscono le loro forze superando pregiudizi e blocchi mentali, aiutandosi. Nel precedente Il ritorno di Don Camillo è proprio Peppone a salvare la vita al parroco durante l'alluvione che travolge la bassa padana, così come nel presente episodio Don Camillo dà un supporto notevole al sindaco per superare gli esami di quinta elementare e poi toglierlo dai guai nel momento del processo per furto di polli. Nel flashback che riporta dalla memoria un episodio delle Resistenza, evocato da Peppone mentre sta svolgendo il tema per l'esame di quinta, pur nello stravolgimento soggettivo che tende a minimizzare la figura del parroco, emerge la lealtà e l'alta qualità morale di Don Camillo.

Insomma ognuno conferma la propria identità proprio specchiandosi nell'opposto riflesso: i due, come Coppi e Bartali, si inseguono in bicicletta raggiugendosi e superandosi a vicenda, in uno scenario di un paese da risollevare dalle macerie della recente guerra. Sono frammenti di un passato glorioso che stridono paurosamente con le contemporanee derive morali e deformazioni grottesche di una società post-industriale megalomane ed egocentrica, in cui ognuno ha il suo prezzo e tutto è in vendita (anche la dignità). I mostri che attualmente popolano le aule del nostro parlamento fanno svanire letteralmente il ricordo di queste figure pure e coerenti, solidali e determinate, che sono pronte a mettersi da parte per il bene comune, che tendono la mano nel momento di difficoltà e che, se sbagliano, lo fanno in buona fede, con una lunga serie di attenuanti generiche.

 


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