Il giardino dei Finzi Contini PDF 
Amon Rapp   

Vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1971 e del premio Oscar come miglior film straniero nel 1972, Il giardino dei Finzi Contini è tra le ultime opere del grande Vittorio De Sica. Tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, che in un primo tempo aveva collaborato con Ugo Pirro alla stesura della sceneggiatura, poi abbandonata per divergenze apertesi con il regista, il film rievoca una triste pagina della storia italiana, attraverso il racconto degli intrecci sentimentali di alcuni giovani ebrei ferraresi al momento della promulgazione delle leggi razziali fasciste.

Nella seconda metà degli anni Trenta i Finzi Contini, una famiglia dell’alta borghesia ferrarese di origine ebraica, vivono agiatamente ostentando uno stile di vita aristocratico. Nello splendido giardino della villa di cui sono proprietari, i due giovani rampolli di famiglia, Alberto e Micol, organizzano frequenti incontri di tennis, invitando i propri amici a prendere parte a pomeriggi spensierati. Tra questi vi è Giampiero, un grande amico di Alberto appena trasferitosi a Ferrara, e Giorgio, piccolo borghese anch’esso ebreo, da sempre attratto dall’ex compagna di giochi Micol. Il film di De Sica lascia sullo sfondo gli avvenimenti storici concentrando la propria attenzione sulle passioni che agitano i giovani protagonisti, l’amore non ricambiato di Giorgio per Micol, l’amicizia e la rivalità tra Giorgio e Giampiero e l’ammirazione venata di omosessualità che Alberto prova per quest’ultimo. Il rimorso per le occasioni non colte, la fugacità dei sentimenti, e il riverbero dei ricordi di un’infanzia perduta si intrecciano in una seducente narrazione nella quale la Storia sembra ricoprire un  ruolo marginale.

Del resto, sono gli stessi personaggi a mostrare un languido disinteresse, raramente interrotto da effimeri segnali di preoccupazione, verso quanto sta accadendo: l’incredulità sembra dominare il loro sguardo, e la volontà di continuare a sperare nel procedere normale delle cose pare prevalere sul timore e la protesta. Il padre di Giorgio è iscritto al partito fascista ed è naturalmente teso a sminuire la portata dei provvedimenti anti ebraici. I Finzi Contini sono tra i finanziatori delle colonie marine del Fascio e palesano di non avvertire il pericolo: la stessa Micol si adagia sotto una coltre di passiva accettazione, preoccupandosi unicamente dei suoi studi e dei suoi amori. Giorgio è l’unico a manifestare una timida critica innervata di ribellione, ma rimane tuttavia troppo preso dal suo struggente sentimento per Micol e dai suoi turbamenti interiori per occuparsi seriamente di ciò che sta succedendo. E così mentre la Storia avanza inesorabile verso il suo tremendo traguardo, i protagonisti del film di De Sica sembrano voler fermare il flusso del tempo cristallizzandolo all’interno del giardino, rifugio che li tiene al riparo dalla Storia stessa, e li proietta nel passato di un’età dell’oro ormai irraggiungibile.

Elegante e pacato, lo sguardo di De Sica è lontano dalla ricognizione sulla realtà tipica delle opere appartenenti al periodo del neorealismo. Eppure, pur aderendo alle regole della messa in scena tradizionale ed appoggiandosi esclusivamente agli schemi della drammaturgia ordinaria, il regista  riesce a far emergere un aspetto importante della dialettica tra individuo e Storia, e dell’impatto che i grandi mutamenti epocali hanno sulle vite delle persone comuni. L’indifferenza, la negazione dell’evidenza, la volontà di continuare come se nulla fosse sono i fragili rimedi che da sempre gli uomini hanno approntato per curare i mali del tempo. Sforzi tesi a preservare la quotidianità e a tamponare i progressivi squarci che si aprono nelle singole esistenze: tutto questo per continuare a gioire e a soffrire delle proprie piccole storie, per continuare, in definitiva, a vivere.

Ma è proprio da queste continue lacerazioni nel tessuto del vissuto quotidiano e dagli antidoti escogitati per aggirarle che emerge con maggior forza il drammatico effetto che le leggi razziali ebbero sugli ebrei italiani. La progressiva perdita dell’eguaglianza dei diritti, seppur non aggravata dall’efferata violenza che esplose fin dal principio all’interno della Germania nazista, si insinuò strisciando nelle coscienze dei singoli, tanto più subdola quanto più in apparenza la sua ipocrita mitezza nascondeva alla vista la disgregazione dei principi di fondo della società civile. E così il percorso verso la deportazione che avverrà durante l’occupazione tedesca con la collaborazione delle autorità della Repubblica Sociale era già tracciato in origine, e l’esito finale del racconto si rivelava già contenuto all’interno delle sue premesse.

TITOLO ORIGINALE: Il giardino dei Finzi Contini; REGIA: Vittorio De Sica; SCENEGGIATURA: Vittorio Bonicelli, Ugo Pirro; FOTOGRAFIA: Ennio Guarnieri; MONTAGGIO: Adriana Novelli; MUSICA: Manuel De Sica; PRODUZIONE: Italia/Germania; ANNO: 1970; DURATA: 93 min.

 


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