L'identità ambigua del personaggio Jude Quinn in I'm not There PDF 
Valentina Alfonsi   

Le sei maschere attraverso le quali Todd Haynes articola la narrazione di I’m not There sono presentate allo spettatore nell’incipit del film in cui l’elemento centrale è costituito dal personaggio di Jude Quinn (Cate Blanchett): Jude è il morto, il cadavere posto nella bara, il corpo da sezionare. La voce FC legge un epitaffio ispirato a quello contenuto nel capitolo 44 di Tarantula, il libro di Bob Dylan pubblicato nel 1966. I versi sono però modificati: innanzitutto non viene pronunciato il nome Bob Dylan (“[i]here lies Bob Dylan[/i]” diventa un più generico “there he lies”), vengono aggiunte delle frasi e alcuni concetti vengono sintetizzati e mutati leggermente di senso per meglio fungere da introduzione al film. I “two brothers & a naked mama’s boy who looks like Jesus Christ” sono trasformati da Haynes nel “devouring public]” ansioso di sbranare il corpo (“can now share the remains of his sickness & his phone numbers”). Viene quindi subito messo l’accento sull’immagine pubblica di Bob Dylan e del suo rapporto con il pubblico, che saranno centrali nel segmento del film dedicato appunto a Jude Quinn.

La seconda parte dell’epitaffio riscritto da Haynes introduce la pluralità del personaggio da sezionare: “There he lay. Poet. Prophet. Outlaws. Fake. Star of electricity.” Ciascuna definizione è accompagnata dall’immagine dei cinque personaggi chiamati a incarnare queste differenti identità; nell’incipit dunque Jude è apparentemente la carne, il corpo, la concretezza mentre gli altri appaiono come personificazioni dei differenti aspetti della sua personalità. “Nailed by a peeping tom who would soon discover even the ghost was more than one person”, così si conclude l’epitaffio nel film. È una dichiarazione d’intenti chiarissima: si vuole sezionare il corpo, si vogliono conoscere le parti di cui è composto, impresa impossibile perchè ogni persona, persino un fantasma, cioè quel che resta di una persona morta, non è qualcosa di unico, ma un insieme di anime, di corpi e di vite. Haynes riprende in parte quest’ultimo verso dal già citato capitolo di [i]Tarantula[/i]; nel testo originale però il termine fantasma costituisce un riferimento all’Amleto di Shakespeare: “bob dylan – killed by a discarded Oedypus who turned around to investigate a ghost & discovered that the ghost too was more than one person.” Bob Dylan ucciso dall’”Edipo destituito”, ucciso dai dubbi di Amleto, dall’incapacità di agire? Scrivono Alessandro Carrera e Sandro Pettinato [1] : “l’ultima strofa dell’epitaffio assimila le figure di Edipo e di Amleto. Amleto è un ‘Edipo destituito’, privato della possibilità di uccidere realmente o simbolicamente il padre, dal momento che il padre è già stato ucciso ed è già ridotto a un spettro. Edipo uccide il ‘dylan ragazzo’ (perchè nasca l’uomo) solo per scoprire che gli spettri non hanno un’identità, non sono un ‘io’, bensì una pluralità di ‘io’.” Haynes elimina il riferimento all’Edipo, l’assassino in questo caso è il pubblico “guardone” che però non troverà risposte definitive alla sua curiosità morbosa perchè “even the ghost was more than one person”. È la pluralità di io di cui parlano Carrera e Pettinato e che è anche il senso stesso di I’m not There.

Il concetto è ulteriormente spiegato nell’ultima scena dal personaggio di Billy the Kid (Richard Gere) che, in voce FC, dice agli spettatori: “I can change in the course of the day. I wake and I’m one person and when I go to sleep I know for certain that I’m somebody else. I don’t know who I am most of the time.” Riferimenti alla frammentazione dell’io sono presenti anche nei versi di Rimbaud letti da Claire (Charlotte Gainsbourg) che li traduce dal francese: “Je suis an autre” diventa “I is someone else”. Un “io” che non si riconosce in se stesso, dunque, e che è composto da tanti “io”; ma quale “io” rappresenta Jude? Per ammissione dello stesso Haynes, Jude incarna una certa immagine di Bob Dylan fortemente caratterizzata anche dal punto di vista fisico: Jude è l’androgino, l’icona-Dylan per eccellenza, “il folletto diafano, gioioso e survoltato [2]”. Un’immagine che scompare dopo l’incidente in moto di cui Bob Dylan è vittima nel 1966; il film comincia infatti con l’inquadratura in campo lungo della motocicletta in corsa, anche se lo spettatore non sa ancora chi la cavalca e l’impatto sarà mostrato solo molto più avanti nel film. A seguire, Haynes mostra il cadavere da sezionare: perciò Jude non è propriamente il corpo, come si diceva poco sopra, ma è l’immagine che Bob Dylan ha incarnato in un certo periodo, e in particolare è la percezione di quell’immagine da parte del pubblico e della stampa, è un’ idea. Dalla morte di quell’idea il film prende le mosse, procedendo con l’autopsia. E a cosa serve un’autopsia se non ad accertare le cause della morte? Haynes va quindi a mettere in scena ciò che ha distrutto quell’immagine di Dylan ma anche tutto ciò che ha contribuito a crearla tanto dal punto di vista culturale-musicale quanto da quello umano.

Come si diceva, Jude Quinn è l’unico personaggio a non avere una definizione, è l’ambiguità, l’impossibilità di essere catalogato propria dell’essere umano, e per questo è anche il traditore, il “Giuda” ambiguo e bugiardo. Judas è appunto l’insulto che il pubblico gridò a Bob Dylan dopo l’esecuzione di Ballad of a Thin Man durante un’esibizione a Manchester, episodio presente anche nel film: un traditore che ha calpestato il folk e le cosiddette “canzoni di protesta” per abbracciare un tipo di rock diverso, una persona malvagia che ha venduto l’anima al diavolo per denaro (I think he’s evil dice una fan). Ma dice Jude durante la conferenza stampa con i giornalisti che nascondersi dietro alle “[i]protest songs[/i]” è solo un modo per porsi al di sopra dei mali del mondo, per autodefinirsi puri (“Doesn’t do a damn thing except dissociate you and your audience from all the evils of the world. I refuse to be dissociated from that.”). Si noti poi come Haynes non chiami il suo personaggio “Judas” ma “Jude”, che in certi casi può essere usato indifferentemente sia come nome maschile che femminile, aumentandone così ulteriormente la portata ambigua.

I possibili significati del cognome sono meno netti: “quinn” non ha un significato univoco, suona come “queen”, regina, e pertanto potrebbe essere un’ulteriore sottolineatura della femminilità di Jude; ma la pronuncia è anche simile a quella di “quim”, uno dei termini che nel linguaggio può indicare la vagina. I riferimenti al sesso femminile sono particolarmente evidenti nella sequenza della festa a cui Jude partecipa nella seconda parte del film. Torna più volte l’immagine della tarantola nera, che nelle note finali all’edizione italiana di [i]Tarantula[/i] viene definita proprio come una metafora del sesso femminile, ipotesi avvalorata tra l’altro dall’espressione “[i]tarantula lips[/i]” che indica le labbra vaginali [3]. Tale interpretazione è sostenuta anche dai ripetuti riferimenti non solo, appunto, al sesso femminile ma anche da quelli indicanti la bocca; si pensi al breve dialogo tra Jude e Coco (Michelle Williams) basato sul doppio significato di “pussy”, che può indicare tanto una “gattina” quanto l’organo sessuale femminile. E infatti Jude conclude dicendo “She has the sweetest little pussy, if you don’t count the teeth”: ancora un riferimento alla bocca e alle sue implicazioni sessuali. Poco dopo Jude viene definito “cocksucker” e la sua risposta è “it’s not what goes into a man’s mouth that defines him”; riferimenti al sesso orale sono contenuti anche in Ballad of a Thin Man (una delle due canzoni cantate da Jude): innanzitutto l’immagine dello “sword swallower”, l’ingoiatore di spade, e il verso che segue poco dopo “here’s your throat back, thanks for the loan” che nella versione presente nel film diventa però “here’s your mouth back”.

Jude, quando Coco lascia la festa arrabbiata, commenta la pericolosità dell’amore e del sesso nella vita delle persone (“love and sex are two things that really hang people up”); riflessione che confermerebbe l’identificazione del sesso con le proprietà della tarantola e del suo veleno.  L’immagine della tarantola è però strettamente legata anche allo stesso Jude: le immagini del ragno nero si rincorrono sulle medesime pareti bianche che vedono moltiplicarsi anche il volto e il corpo di Jude; la tarantola è una parte di lui, o forse in questo caso sarebbe meglio dire di lei. In making love on maria’s friend, ventiquattresimo capitolo di Tarantula, Bob Dylan si riferisce alla protagonista del breve testo chiamandola “queenie, the spider [4] ”; in I’m not There la “queenie” potrebbe essere proprio Jude Quinn. Un ennesimo riferimento al termine “queen” viene proprio da Jude che, quando gli vengono chieste due parole su Shakespeare, definisce il drammaturgo inglese come “raving queen and cosmic amphetamine brain”: un sostantivo femminile, regina, usato per descrivere un soggetto maschile e che potrebbe implicare anche un velato riferimento all’ambiguità sessuale di Shakespeare stesso. È da notare poi come l’immagine della tarantola sia introdotta nel film dalla voce FC di Allen Ginsberg (David Cross) che recita dei versi tratti dal capitolo “Delle tarantole” di Così parlò Zarathustra di Frederich Nietzsche. Come per l’epitaffio tratto da Tarantula, Haynes estrapola dal testo di Nietzsche alcune frasi, le riscrive parzialmente con un’attenzione particolare alla musicalità fonetica e connettendo l’immagine del ragno ad una sorta di incarnazione del sentimento di vendetta; il suo Allen Ginsberg cinematografico recita infatti: "Behold the hole of the tarantula, revenge sits black on your back and wherever you fight black scabs grow”.

Senza voler entrare nella complessità filosofica dello scritto di Nietzsche, è evidente come le parole citate da Haynes risultino nel film sufficientemente ambigue e possano pertanto essere connesse con la presunta metafora sessuale del ragno, se si vuole, come fa Jude, identificare l’amore e il sesso come qualcosa di pericoloso e di distruttivo (“wherever you fight black scabs grow”). Lo Zarathustra di Jude, il suo profeta, viene incarnato da Allen Ginsberg che nel film resta una figura abbastanza sfumata, essendo presente soprattutto in sequenza oniriche, come appunto la lettura di Nietzsche o il momento in cui lui e Jude si confrontano con il crocifisso.

Prima della sequenza della festa, di cui si è già in parte discusso, il tema delle relazioni amorose e soprattutto della loro fine è presente anche nel surreale dialogo tra Coco e Jude nel boschetto, accompagnato dalle note del Casanova di Federico Fellini composte da Nino Rota, subito dopo l’incontro con i giornalisti. Qui Haynes cita quasi letteralmente due versi di She’s Your Lover Now; lo scambio di battute tra i due personaggi resta comunque piuttosto criptico tanto da far pensare più ad un dialogo immaginario, proiezione dei pensieri di Jude relativamente al rapporto con la ragazza. Oltretutto, nonostante la canzone citata parli di una relazione finita, le frasi estrapolate da Haynes fanno più riferimento alla confusione identificata con la perdita di memoria (“I just can’t recall San Francisco at all and I can’t really remember El Paso[/i]”) e al significato della sincerità nei rapporti interpersonali (“I was straight with you”). L’amore finito, la gelosia, il tradimento sono suggestioni che in questa scena Haynes pone come sottotesto, lasciando che sia lo spettatore a riconoscere la citazione da She’s your lover know e lasciandogli libera interpretazione sul resto del dialogo.

Benché, come si è visto, i riferimenti al sesso e ai rapporti sentimentali con le donne siano piuttosto chiari, è però altrettante evidente come questi temi non siano così centrali nel capitolo del film dedicato a Jude Quinn che Haynes dedica soprattutto ad un’analisi della percezione che il pubblico ha di un personaggio famoso, e del modo in cui questa percezione sia manipolata dai mezzi di comunicazione. La messa in scena del rapporto fra Jude e i media è impostata in massima parte come un duello tra lo stesso Jude e Keenan Jones, interpretato da Bruce Greenwood il quale presta il volto anche a Pat Garrett nella parte del film incentrata su Billy the Kid. Il giornalista Mr. Jones è dunque il nemico, colui che dà la caccia, che vuole intrappolare; gran parte dei dialoghi tra lui e Jude tendono a mettere in evidenza il processo di disumanizzazione a cui un personaggio pubblico (un artista, in questo caso) viene sottoposto dallo sguardo tanto dei fans quanto dei detrattori e soprattutto dei media. A questo proposito, uno dei punti su cui la sceneggiatura di Haynes insiste di più è proprio la sincerità: Mr. Jones accusa Jude di essere bugiardo, e il cantante a sua volta definisce liers (“You’re all liers, all of you”) coloro che lo attaccano e lo chiamano Judas. Secondo Keenan Jones, Jude Quinn mentirebbe su qualunque cosa: innanzitutto sul nome (“his real name is Aaron Jacob Edelstein”), sull’uso opportunistico che avrebbe fatto delle sue protest songs, addirittura sulla sua arte e suoi sentimenti di essere umano. Anche l’uomo che tenta di accoltellarlo in albergo gli grida “he’s the one, stabbing truth from the eye” in cui “eye” potrebbe anche pensato come “I”, io: Jude pugnalerebbe quindi la verità, l’intangibilità dell’io, il suo crimine è essersi reso inafferrabile, non etichettabile.

Da tutto ciò Jude si difende rivendicando la sua essenza di uomo fallibile, come chiunque altro: “Are you saying you’re not sincere?” chiede Mr. Jones e lui risponde “No more than you, no more sincere than you are”; il giornalista però va oltre, precisa meglio le sue accuse arrivando ad ipotizzare come a Jude non importi di nulla (“you don’t truly care about nothing”), né delle conseguenze che le sue canzoni potrebbero avere sulle persone che le ascoltano e più in generale sulla società, né degli uomini e dei loro sentimenti. Jude per reazione si chiude, non parla o dà risposte provocatorie. “Do you ask the Beatles that?” domanda a Mr. Jones. La rappresentazione dei Beatles nel film estremizza la disumanizzazione di cui sono vittime le persone famose: non più uomini ma marionette prive di coscienza o consapevolezza, pupazzi da gettare in mano alle fan comicamente urlanti. I Beatles però vengono lasciati in pace, possono continuare a ridacchiare e saltellare come trottole, mentre Jude viene richiamato all’ordine. Giornalisti e fan percepiscono il personaggio famoso in maniera distorta e gli danno un’importanza spropositata: se la stampa si rivela così ottusa da riportare ogni singola, inutile parola pronunciata da Jude (“Astronaut! ”) e da fare domande a cui è impossibile rispondere (“two words on Shakespeare”: chi saprebbe definire Shakespeare in due parole?), gli ammiratori non sono meno sciocchi pretendendo che il proprio idolo si adegui ad una loro astratta visione del mondo o ponendolo su un piedistallo di superiorità infallibile (si pensi al fan che rincorre Jude cercando conferma alle proprie interpretazioni delle sue canzoni e che sa tutto della sua carriera): le aspettative esagerate del pubblico producono non solo quello strano senso di colpa che attanagliava Jack Rollins nella prima parte del film ma anche solitudine, come dice Jude nel suo unico, vero momento di sincerità, il dialogo immaginario con Mr. Jones che Haynes pone alla fine del film. Jude è finalmente sincero perchè parla della sua musica e non di se stesso come uomo (argomento sul quale nessun essere umano saprebbe dire la verità), dice ciò che pensa, ciò che davvero vorrebbe dire, è rilassato, sorride perfino.

Ricostruire l’intero percorso delle citazioni letterarie e musicali messo in piedi da Haynes per I’m not There è probabilmente quasi impossibile e forse non del tutto utile ai fini di una comprensione globale dell’opera perchè si rischierebbe di ridurla ad una sorta di caccia al tesoro alla ricerca del verso, della frase nascosta. Ciò che è interessante notare, piuttosto, è il modo in cui Haynes sceglie di citare che molto spesso non è perfettamente letterale ma crea invece un leggero sfasamento tra ciò che Dylan o altri hanno detto, scritto o cantato e ciò che invece esce dalla bocca dei protagonisti. Ad esempio, Positively 4th Street si ascolta nel film poco dopo la prima apparizione di Jude, ma la citazione dal testo arriva più tardi, durante uno dei colloqui con Mr. Jones in cui il cantante risponde alle sue provocazioni dicendo “You’ve got a lot of nerve asking me a question like that”. Un ulteriore sfasamento dunque, non solo verbale (Haynes riprende dalla canzone solo la prima parte della frase) ma anche temporale, come se le canzoni di Bob Dylan presenti nel film restassero nell’aria, per colpire più tardi, di riflesso. Tale procedimento è attuato da Haynes anche visivamente nella sequenza di Ballad of a Thin Man: il film mostra Mr. Jones in un bagno che vede se stesso, nudo, uscire dalla porta; solo qualche secondo dopo Jude inizia a cantare e uno dei primi versi della canzone recita “you see somebody naked and say, who is that man?

Tutto ciò ha perfettamente senso se si considera che i sei protagonisti del film non sono Bob Dylan ma bensì una sua particolare immagine (Jude, come si diceva) o l’incarnazione di un preciso aspetto della sua personalità umana e artistica (gli altri cinque, anche se per Robbie il discorso si fa più complesso visto che si tratta di un attore che interpreta in un film il Dylan-profeta impersonato da Jack Rollins) e non può esserci pertanto aderenza completa tra ciò che essi sono, fanno e dicono e ciò che invece è, o è stato, Bob Dylan; da questo punto di vista [i]I’m not There[/i] potrebbe configurarsi come la messa in scena di un processo mentale: Haynes opera una riflessione e una ricerca su Bob Dylan come figura, come entità musicale e le traduce in immagini e parole attinte in massima parte dall’arte dello stesso Dylan, sia come citazioni che come suggestioni visive. I’m not There è un racconto che trae la propria forma dal suo stesso, indefinibile, mutevole e sfuggente soggetto.

NOTE

[1] Alessandro Carrera e Sandro Pettinato, “Guida alla lettura di Tarantula” in Tarantula di Bob Dylan, Feltrinelli, p. 308
[2] Adriano Piccardi, Io non sono qui, Cineforum n. 469 / 2007, p. 13
[3] Cfr. Alessandro Carrera e Sandro Pettinato, op. cit., p. 255
[4] Scrivono ancora Carrera e Pettinato (op. cit., p. 290): “‘foxy queeney’, la maestra di scuola amica di Maria, è attraente ma ha bisogno di essere destata dal suo sonno masturbatorio, così come deve sapere che anche lei è una “queenie, the spider” (cioè un ragno, il simbolo sessuale che dà il titolo all’intero libro).”

 


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