Un marito ideale PDF 
Mario Bucci   

La firma di ogni regista si differenzia spesso non solo per la calligrafia, ma anche per il luogo esatto dove questa viene posta. Come a dire che ogni firma, in fondo, è davvero unica. Un regista cinematografico, dunque, come chiunque altro, pone spesso una firma (o forma) al proprio lavoro, che alla lunga (si spera per lui) può svelare una più chiara cifra stilistica, un vero e proprio “carattere”. C’è chi si distingue per il rigore, molti per un’ossessione ricorrente, chi per realismo contemporaneo o per iperrealismo, chi per onirismo, chi per virtuosismo, chi per aver scelto quasi sempre di trasporre libri, chi addirittura dello stesso autore. Mischiando tra loro tutti i nomi dei registi che potrebbero appartenere ad una sola di queste categorie si otterrebbe un elenco infinito: Hitchcock, Cronenberg, Kim Ki-duk, Kenneth Branagh, Stanley Kubrick, Ken Loach, i fratelli Dardenne, Lars Von Trier, Paolo Sorrentino, Federico Fellini … e in questo elenco ci potrebbe essere anche il nome di Oliver Parker, regista avvezzo a portare sul grande schermo le opere di Oscar Wilde, e che, per il paradosso dell’assunto con il quale abbiamo aperto, si ritrova nel mondo del cinema.

Tra le sue pellicole più conosciute figura  Un marito ideale, film tratto dall’omonima commedia scritta da Oscar Wilde, ambientata a fine XIX secolo e rappresentata in teatro per la prima volta il 3 marzo 1895, quasi dieci mesi prima di quel fatidico 28 dicembre, data a cui convenzionalmente si fa risalire la nascita del cinema. Basterebbe questa coincidenza per giustificare la presenza di Oliver Parker nel cinema? No. Oliver Parker rientra, secondo il “paradosso della cifra stilistica”, in quella categoria di registi tipicamente inglesi, molto legati al teatro e che, come Kenneth Branagh, usa anche spesso (quasi sempre) portare al cinema una commedia o una tragedia di Shakespeare (Parker ha esordito al cinema con l’Otello) o di Oscar Wilde. La storia di Un marito ideale è quella di una tentata pressione su un relatore del governo inglese, il primo marito ideale Lord Chiltern (Jeremy Northam), da parte della ricca Cheveley (Julianne Moore). Lady Cheveley è pronta a ricattare Lord Chiltern poiché coinvolta con il proprio capitale in una pericolosa speculazione, che la commissione da lui presieduta sta appunto per valutare come sconveniente. A sdrammatizzare e condurre questo ricatto verso un piacevole epilogo è la figura di Lord Goring, il secondo marito ideale, dandy affascinante, il cui padre cerca in ogni modo di  far convogliare a nozze, e fedele amico di Lord Chiltern. Il primo marito, icona dello sguardo ironico sul governo inglese, il secondo spunto ironico del paradosso: entrambi concludono il loro percorso conquistando la propria moglie e una propria morale, la cui caotica sequenza dei fatti ha smontato e poi ricostruito in chiave ironica.

Con ritmi da commedia teatrale inglese, che gioca sugli equivoci e gli incastri temporali, il film di Oliver Parker, asciugando l’opera originale (già portata al cinema cinquant'anni prima da Alexander Korda), spinge l’interesse del film soprattutto sull’immoralità di Lord Goring/Rupert Everett, sentita proiezione dello scrittore Wilde, peccando dunque di fascinazione per il carattere dandy dello scrittore, dal quale sembra voler trarre unica e completa ispirazione. È questo, solitamente, un tranello nel quale cascano molti di coloro che provano a trasporre commedie di Wilde, il cui valore è spesso lasciato sullo sfondo per privilegiare il fascino e il mito del suo autore. Ne Un marito ideale Parker, sbilanciando il racconto su uno solo dei due mariti ideali, perde per strada tutta l’ironia che Oscar Wilde riversa sul carattere di Lord Chiltern (e quindi sulla società aristocratica inglese di fine XIX secolo), preoccupandosi forse troppo di mantenere la struttura narrativa del racconto, la consequenzialità dei fatti, e lasciando che Rupert Everett guadagni spazio (e sensibili primi piani) solo perché simbolo della fascinazione wildiana. Alla coppia di mariti ideali proposta nell’opera originale viene quindi a mancare questo evidente contrappunto, che isola così il fascino di Everett dal resto del progetto cinematografico, in un lavoro che va sempre alla ricerca di un’eleganza formale che possa allettare il lettore di Oscar Wilde, e che sciorinando una serie incredibile di aforismi, paradossi, cinismi e forme eleganti di esaltazione del sé, si affida quindi anche all’eloquente verbosità dei dialoghi. In questa sua regia Oliver Parker ricorda un po’ il Ken Russell di qualche anno prima (un altro regista inglese ed eccentrico), che nonostante il découpage (a volte barocco e pre-videoclipparo), soffre di una messa in scena comunque sempre troppo teatrale. Come se non bastasse, qui la fotografia di David Johnson rende lo spazio visivo fin troppo "soffocato" (come l’atteggiamento eccessivamente composto dei personaggi), lavorando molto sulle profondità e togliendo respiro all’occhio dello spettatore.

Il film di Parker si consuma dunque nella sua forma, senza ricerca e vero dileggio. L’unico suo pregio sta forse nell’aver valorizzato le interpretazioni di Julianne Moore, Cate Blachett e di un Rupert Everett misurato ed elegante, la cui ironia tuttavia non è mai davvero brillante come quella di Oscar Wilde e il cui personaggio risulta alla fine troppo “british”, più narratore e meno “deus ex machina” (come vorrebbe l’opera originale). I lettori di Oscar Wilde, insomma, continueranno ad amare Wilde ... e a sospettare di Oliver Parker.

TITOLO ORIGINALE: An Ideal Husband; REGIA: Oliver Parker; SCENEGGIATURA: Oliver Parker; FOTOGRAFIA: David Johnson; MONTAGGIO: Guy Bensley; MUSICA: Charlie Mole; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 1999; DURATA: 94 min.

 


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