Star Trek - Il futuro ha inizio PDF 
Gianmarco Zanrè   

Il tempo può cambiarmi, ma io non posso cambiare il tempo, cantava David Bowie nella sua indimenticabile Changes, ormai distante oltre un trentennio: ma il Duca Bianco, ai tempi in cui scrisse quello che sarebbe divenuto uno dei suoi pezzi più famosi, non poteva sapere che dall'altra parte dell'oceano c'era un bambino di cinque anni che, con il nuovo millennio, avrebbe sovvertito ogni regola possibile legata all'ineluttabilità, per l'appunto, del tempo stesso. Certo è facile pensare quanto possa essere semplice, per mezzo di una fiction, sia essa destinata al piccolo o al grande schermo, riscrivere le regole della linearità imposta dall'unica, vera certezza scientifica e religiosa esistente: questo fantomatico tempo che scorre. Eppure gli ostacoli sono indiscutibilmente numerosi e inesplicabilmente difficili da superare, e chiunque decida di imbarcarsi in un'avventura come questa deve essere ben conscio che potrebbe portarlo al più grande dei successi o al più cocente dei fallimenti. Tralasciando i secondi, gli anni Ottanta furono testimoni di tentativi straordinariamente ben riusciti, se pensiamo ai primi due episodi di Terminator firmati Cameron o alla trilogia di Ritorno al futuro, esempi che senza dubbio Abrams già considerò nella fase di creazione della sua creatura più famosa, quel Lost capace di rivoluzionare l'universo dei serial tv e far ripartire – se non addirittura risorgere – un'industria che pareva dirigersi inesorabilmente lungo il viale del tramonto proiettandola in una sorta di  nuovo Rinascimento.

I superstiti del volo Oceanic 815, con le loro avventure, non hanno solo conquistato milioni di telespettatori in tutto il mondo, ma si sono resi protagonisti di un gioco – contro il tempo – che l'anno prossimo, con la sesta stagione, vedrà concludersi (?) una rincorsa di cui quest'ultimo Star Trek fa certamente parte: innanzitutto perché l'origine di questa saga è data da un serial che, proprio come Lost, ha avuto il merito di rilanciare un genere ed uno stile che rischiavano di rimanere ancorati agli standard e agli stilemi degli anni Cinquanta, e, non meno importante, perché lo Star Trek di Abrams gioca con il tempo e i tempi, intrattenendo con sbalorditivi effetti speciali e una sceneggiatura ad alta fruibilità per il pubblico anche non avvezzo alle spericolate peripezie della sci-fi, senza dimenticare quanto la riflessione su passato e futuro sia importante anche nel settore dell'entertainment. Così, i protagonisti tornano ad essere gli originali ed indimenticabili membri dell'Enterprise, alla loro prima esperienza con un vero viaggio e vere responsabilità: si assiste, dunque, al passaggio all'età adulta dell'equipaggio più famoso della fantascienza secondo solo a quello del Millennium Falcon. Kirk e Spock, amici, compagni, rivali, devono ancora fronteggiare il peso delle loro scelte da adulti, e si ritrovano, scalpitanti e per nulla entusiasti, a dover condividere uno spazio che pare quasi troppo piccolo per ospitarli entrambi: al loro fianco quelli che saranno i compagni di una vita fra le stelle, dal Dottor McKoy a Scott, da Uhura a Cechov. C'è già chi starà pensando che non c'è nulla di particolarmente geniale nello scegliere di girare un prequel, specie di una serie dalla fama (e dal numero di fan) più che consolidati: eppure Abrams sconfigge il tempo già con la prima mossa.

L'equipaggio della sua Enterprise è formato da giovani con la voglia di esprimere il loro potenziale e rischiare il tutto e per tutto pur di dimostrare di essere presenti: Kirk e Spock non sono più due uomini già formati, con caratteri difficili ma complementari, capaci di equilibrarsi l'un l'altro, ma fratelli mancati ancora incapaci di trovare la soluzione migliore, o almeno di farlo senza pagare il prezzo più alto. Detto, fatto. Il tempo è piegato, e i giovani cresciuti con internet in una realtà multiculturale e complessa come quella attuale rivedono loro stessi in personaggi addirittura più vicini ai loro nonni, che non ai genitori. Nonni che, in un modo senz'altro diverso, dovevano essere esplosivi e determinati allo stesso modo, ai loro tempi. E di nuovo il grande flusso ritorna, portando il giovane Spock – figlio attoriale di un'altra serie tv di grandissimo successo, Heroes – a confrontarsi con la versione anziana di se stesso, quel Leonard Nimoy che potrebbe essere realmente considerato vulcaniano: è lo stesso Spock ultracentenario a sussurrare al suo giovanissimo Io il fatto che i vulcaniani, razza in via d'estinzione, si riconoscano ed attraggano gli uni con gli altri. Senso di appartenenza, come in una famiglia: e di nuovo appare fondamentale l'importanza del legame tra generazioni, presente nel già citato Lost come in quest'ultima fatica di Abrams. La ricerca di se stessi attraverso una riscoperta delle proprie origini come punto di partenza, o di scambio, per nuove esistenze.

Eppure, pur ammettendo l'ottima confezione e l'intento prettamente figlio dell'entertainment e dei cosiddetti popcorn movies, i più scettici detrattori dell'eclettico produttore e regista newyorkese ancora non saranno convinti della genialità di questa nuova operazione, o delle sue potenzialità rispetto all'utilizzo del tempo e dei suoi derivati. Nessuno può fare contenti tutti, neppure il più grande dei maestri, ma ad Abrams va dato il merito di essere risultato miracoloso anche questa volta, giocando d'astuzia e buttandosi con coraggio nel calderone ribollente che è il pubblico mainstream. E non solo, considerato lo zoccolo duro dei fan trekkisti. Di fronte ad una serie risalente a più di quarant'anni fa, non solo J.J. pare aver dimostrato di poter raccontare una storia d'intrattenimento intelligente riadattandola ai nostri tempi, ma, come fu per Lost e per Cloverfield – regia a parte, a tutti gli effetti una sua creatura –, in una macchina perfetta, fusione di consensi ed immense possibilità di guadagno. Ripensiamo a Star Trek senza contare i succitati (e splendidi) effetti speciali, la funzionale (seppur semplicistica) sceneggiatura, il buon ritmo e l'accademica direzione degli attori (resa ad ogni modo speciale da un cast azzeccatissimo): J.J. Abrams ha tratto da una serie di culto, ma ormai datata, un'opera di grande fruizione, riscuotendo un successo quasi unanime di critica, pubblico e fan accaniti di Kirk, Spock e soci. Il tutto ponendo le basi per un sequel per il quale è già stato opzionato l'intero cast (artistico e tecnico) e, grazie alle altalene temporali del nemico di turno e del vecchio, saggio Nimoy/Spock, per un'ipotetica nuova serie con protagonisti i personaggi originali – universalmente i più amati dai fan e conosciuti dai “profani” –, resa possibile dall'utilizzo di una differente direzione presa dal granitico, immutabile, corso del tempo.

Se David Bowie l'avesse saputo, forse, le cose sarebbero state diverse, e Ziggy Stardust ancora dominerebbe i dischi del cantautore inglese. Del resto, quel controverso volto del Duca Bianco altro non era che un alieno. E di alieni J. J. Abrams pare saperne parecchio. Come del tempo. O almeno, è bravo a farlo credere e a giocarci. Complimenti a lui, perché se è vero che con ogni probabilità non sarà mai un grande regista, è già indiscutibilmente il più geniale degli entertainers su grande e piccolo schermo.

TITOLO ORIGINALE: Star Trek; REGIA: J.J. Abrams; SCENEGGIATURA: Alex Kurtzman, Roberto Orci; FOTOGRAFIA: Daniel Mindel; MONTAGGIO: Maryann Brandon, Mary Jo Markey; MUSICA: Michael Giacchino; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 126 min.

 


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