I baci mai dati PDF 
Valentina Rossetto   

Manuela ha 13 anni e vive in una famiglia grottesca, ma inquietantemente realistica, una famiglia che la ignora. Probabilmente per attirare l'attenzione su di sé si inventa di aver parlato in sogno con la Madonna, che le ha rivelato dove si trova la testa della sua statua appena inaugurata in una piazza del quartiere, rotta accidentalmente e poi nascosta da alcuni ragazzini. Dopo il ritrovamento della testa, la vita di Manuela cambia radicalmente, non solo perché diventa oggetto di devozione da parte degli abitanti del quartiere, ma soprattutto perché la madre coglie l'occasione per trarne guadagno e iniziare un dubbio percorso di ascesa sociale. Un meccanismo di mercificazione del sentimento religioso ben noto che accompagna beatificazioni, santificazioni o rivelazioni come quella di Manuela, del quale fanno parte, oltre al business dei pellegrinaggi e dei gadget sacri, anche le varie fiction televisive a tema. Un meccanismo ben sviscerato dal film di Marco Bellocchio L'ora di religione, senza dubbio il primo illustre riferimento cinematografico che viene in mente guardando I baci mai dati, l'ultimo film di Roberta Torre applaudito a Venezia e al Sundance Festival. "In realtà ho molto apprezzato il film di Bellocchio, L’ora di religione, è un autore che amo profondamente, ma non ho pensato al suo film quando ho iniziato a lavorare a I baci mai dati. L’idea è nata da un mio racconto, la storia di questa ragazzina che si inventa di parlare con la Madonna, una sorta di reminiscenza di 'Bernadette' versione truffaldina", ci dice la regista. Quello che hanno in comune i due film è sicuramente l'indagine della speculazione sul sentimento religioso, ma Roberta Torre è più attenta al sentire popolare, alle reazioni della gente e alle conseguenze personali che questa vicenda ha sulla sua giovane protagonista.

I baci mai dati è ambientato a Librino, quartiere satellite di Catania nato a metà degli anni Settanta e diventato in seguito alle varie storie di tangenti e abusivismo una zona degradata, segnata dalla criminalità. Isolati di casermoni dalle strutture modulari e ripetitive, uno spazio urbano che ricorda quello dei film del dopoguerra o le periferie romane di Pasolini, nati da una costruzione selvaggia, disordinata e poco rispettosa sia dello spazio urbano che dei suoi abitanti. Anche la comunità che lo abita ci ricorda un po' l'umanità che ruota intorno alle periferie italiane del cinema del dopoguerra, alla quale però Roberta Torre dà una connotazione tutta personale, propria del suo immaginario di regista: il prete che cerca di arginare il degrado e la criminalità e abita una chiesa kitsch dai cui soffitti pendono due enormi angeli dorati che sembrano precipitare al suolo, la parrucchiera-fattucchiera datrice di lavoro di Manuela che legge i tarocchi e trasforma tutte le donne in sorta di drag queen, l'uomo politico di dubbia moralità, eppure rispettato, di cui Rita diventa l'amante nella speranza di potersi sistemare. E poi ci sono gli abitanti di Librino, anche loro un po' grotteschi, ma che nell'esporre a Manuela preoccupazioni e richieste ci sembrano così vicini. Roberta Torre dice: "Il Sud è da sempre ricco di religione e religiosità, e dunque il rapporto con il miracolo e il miracoloso è più ricco che altrove. Faccia parte di una propensione fatalista, o invece di un reale sentimento religioso, questo è difficile dirlo. Nelle richieste di miracoli che ho raccolto, però, era evidenziato soprattutto il rapporto con il reale. Ho fatto una lunga preparazione per il film, in cui ho voluto far parlare dei veri miracoli che avrebbero potuto chiedere gli abitanti di Librino, e la maggior parte di loro mi chiedeva una cosa sola: un lavoro". Del resto il lavoro, prima della criminalità e dell'immigrazione, è la preoccupazione principale della maggior parte degli italiani, anche se i nostri media lo minimizzano o non ne parlano affatto. Quella che sfila di fronte a Manuela è un'umanità che ha perso fiducia nello Stato, nell'istruzione, nella religione ufficiale, e vede come unica speranza l'affidarsi alla Madonna perché solo un intervento dall'alto sembra poter porre fine a situazioni frustranti e in alcuni casi drammatiche.

Centrale nel film è il rapporto di Manuela con la madre, e il titolo è principalmente riferito alla loro relazione fatta di lontananza e di reciproca indifferenza. Rita (Donatella Finocchiaro) è una donna superficiale, più interessata al suo aspetto che alla sua famiglia: ignora Manuela, se non per rovesciarle addosso le sue frustrazioni, caccia il marito di casa perché esasperata dalla sua indifferenza, ma non prova in nessun modo a capirlo, diventa l'amante di un uomo politico piacione perché la vede come la via più veloce per cambiare la sua vita, non fa altro che mettere in mano alla figlia maggiore dei soldi e spingerla tra le braccia dello stesso politico di cui sopra. Rita è davvero la madre prototipo che sta dietro a molte vicende di cronaca più o meno politica a cui ormai ci siamo abituati. "Su Rita Roberta mi ha suggerito di guardare all'aspetto e alla presenza scenica di Simona Ventura che, in quanto donna dello spettacolo, lavora molto con la sua immagine. Così Rita è un po' la Ventura, un po' Lory Del Santo", ci dice Donatella Finocchiaro. Il suo aspetto esteriore, il modo di vestirsi e di muoversi, non poteva che avere radici televisive dato che i suoi desideri e le sue aspirazioni provengono da lì. Allo stesso tempo la Finocchiaro dice di aver pensato ai personaggi di madri interpretate da grandi attrici italiane, prime fra tutte la Loren e, soprattutto, la Magnani. Così Rita è anche un personaggio complesso che deve venire a patti con le sue frustrazioni e che comunque resta l'unico collante della famiglia, essendo la sola a lavorare e ad occuparsi della casa. Manuela, interpretata dall'esordiente Carla Marchese, è invece in nell'età in cui cerca il proprio posto nel mondo e si sente smarrita senza la madre e senza attenzioni. Solo il padre sembra capirla quando, ormai cacciato di casa, fa la coda e le va a parlare, portandole in regalo un asciugacapelli e dei pettini rosa, perché sa che il sogno della figlia è fare la parrucchiera. Il loro percorso, seppur con tutte le differenze del caso, ricorda quello di un'altra coppia madre e figlia: Maddalena Cecconi (Anna Magnani, non a caso) e Maria in Bellissima di Luchino Visconti. In entrambe, Rita e Maddalena, vi è la stessa volontà di riscatto sociale attraverso le figlie, entrambe sono disposte a sconvolgerne la vita, a partire dal modo di vestire (Manuela sarà costretta ad abbigliarsi in modo più consono a una santa) fino alle abitudini quotidiane. Ma se alla fine Maddallena Cecconi ritorna in sé e capisce di star facendo del male alla sua bambina, Rita non ha questa consapevolezza. Deve essere Manuela, da questo punto di vista sicuramente più matura di lei, a sbatterle in faccia il suo disagio e, infine, a salvarle tutte e due.

Ma "i baci mai dati" sono anche quelli che Manuela riceve da Ersilia, una ragazza rimasta ceca dopo aver assistito bambina all'assassinio del padre tabaccaio. Dopo la riconciliazione, madre e figlia tornano a casa determinate a cominciare insieme una vita più normale, ma ecco accadere il vero miracolo del film. Ersilia ha riacquistato la vista dopo aver avuto un paio di incontri con Manuela. Potremmo pensare che la protagonista non c'entri nulla, che la ragazza riacquisti la vista perché, proprio parlando con Manuela, è riuscita ad elaborare il suo dolore. D'altronde la sua cecità ha origine psichica non fisica. Ma resta un dubbio, perché tra le due ragazze si era instaurato un rapporto molto stretto e di reciproca empatia e, dopo un loro incontro, avevamo visto Manuela fare un sogno travagliato con al centro la statua della madonna, che ricorda da vicino quello della rivelazione sul nascondiglio della testa. Dubbio che si rafforza, ma che rimarrà tale fino alla fine, se pensiamo alla bellissima scena iniziale, quella dell'inaugurazione della statua della Madonna nella piazza di Librino, segnata da una soggettiva della statua che, attraverso il lenzuolo che la copre, si muove tra i palazzi e le persone accorse, fissando infine il suo sguardo su Manuela. Come se la protagonista fosse davvero stata scelta tra gli altri dalla Madonna per realizzare un suo progetto.

I baci mai dati è un capolavoro di equilibrio, e non solo nell'affrontare il tema religioso o quello dei rapporti famigliari e delle dinamiche sociali. Lo è soprattutto dal punto di vista della messa in scena, dell'equilibrio tra vicende personali e collettive, tra momenti narrativi e onirici, tra rappresentazione realista ed esagerazione pop. E poi perché nel film di Roberta Torre possiamo riscontare talmente tanti riferimenti cinematografici che c'è solo l'imbarazzo della scelta. Molti film e registi illustri sono stati scomodati, da Bellocchio a Buñuel, passando per tutto il nostro cinema del dopoguerra, e più lo si guarda e più se ne trovano. Pensiamo ancora una volta alla sequenza iniziale che ricorda l'inizio di Bellissima, de La dolce vita, di Mamma Roma. Eppure questi riferimenti non sono citazioni dirette e calcolate, sono qualcosa di sotteso, sono stati assimilati così profondamente che emergono senza alcuna forzatura nell'immaginario personale e riconoscibile di Roberta Torre. Tra le poche autrici che negli ultimi anni hanno saputo mettere in scena i problemi attuali del nostro paese e dare forma alle nostre inquietudini e ai nostri problemi a volte drammatici, togliendogli pesantezza ma non spessore e complessità.

TITOLO ORIGINALE: I baci mai dati; REGIA: Roberta Torre; SCENEGGIATURA: Laura Nuccilli, Roberta Torre, Alessandro Amapani; FOTOGRAFIA: Fabio Zamarion; MONTAGGIO: Osvaldo Bargero; MUSICA: Federico Di Giambattista, Andrea Fabiani; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 80 min.

 


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