Tutti i santi giorni PDF 
Francesca Druidi   

In un autunno cinematografico avaro al botteghino per il cinema “d’autore” italiano, ma intenso dal punto di vista più prettamente filmico (dal ritorno nelle sale di Bertolucci con Io e te ai titoli reduci dal festival Venezia, fino al Reality di Matteo Garrone), Tutti i santi giorni di Paolo Virzì offre al pubblico italiano una merce rara e, per questo, ancor più preziosa: una commedia sentimentale e romantica che, rifuggendo da espedienti espressivi paratelevisivi, forzature sociologiche e cadute nella sguaiatezza, racconta la storia di una coppia, quella formata da Guido (Luca Marinelli) e Antonia (l’esordiente Federica Victoria Caiozzo, in arte Thony) che sceglie ogni giorno di (re)stare insieme. Tutti i santi giorni appunto. A dispetto degli ostacoli che la vita si diverte a collocare sul loro cammino.

È sullo sfondo della periferia romana di Acilia, distante anni luce dai luoghi mitologici della Città Eterna riconosciuti dai turisti e corteggiati dal cinema (quelli per intenderci rappresentati nell’ultimo film di Woody Allen To Rome With Love), che il regista toscano decide di ambientare la sua “fiaba moderna” (come lui stesso ama definirla). Guido e Antonia vivono insieme e sono innamorati ormai da alcuni anni, nonostante - o forse proprio perché - sono come il giorno e la notte, diversi ma complementari. Toscano, premuroso e paziente, Guido non solo vanta un curriculum classico di tutto rispetto, ma è anche un fervente conoscitore di santi e martiri protocristiani. Le sue competenze potevano farlo ambire a prestigiosi incarichi accademici oltre confine, ma l’amore per Antonia ha da sempre travalicato ogni ambizione professionale, senza per questo generare rimpianti di sorta. Guido fa il turno di notte alla reception di un hotel: un lavoro che asseconda la sua indole riservata, offrendogli la possibilità di coltivare la sua passione per i classici latini e altre letture non proprio contemporanee. In fuga dalla Sicilia e da un rapporto conflittuale con la famiglia, Antonia è spontanea, trascinante ma anche inquieta e permalosa. Lavora di giorno in un autonoleggio nel terminal di Roma Tiburtina e, quando può, scrive intimiste canzoni in inglese che a volte propone a un pubblico distratto nei locali. Virzì ci introduce con sguardo affettuoso ai suoi due protagonisti, che fanno l’amore a colazione e affrontano compatti la grettezza del mondo che li circonda (un esempio su tutti, i vicini di casa plasticati e zotici, lei sempre incinta, lui violento e irresponsabile), inserendo un punto di rottura dell’equilibrio all’interno della coppia: la ricerca di un figlio che fatica ad arrivare. Il potente desiderio di Antonia, sul quale incombono il tempo che scivola via (il famoso orologio biologico) e le insensibili, a volte spietate, aspettative sociali nei confronti della maternità (il ritornello “ma cosa aspettate per avere un figlio?”), si trasforma allora progressivamente in un pensiero fisso, che va a incrinare la loro pur solida unione.

Virzì tratteggia con ironia, ma anche empatia - non rinunciando ad alcuni inserti surreali -, l’odissea di Guido e Antonia, tra luminari ginecologi, esami clinici imbarazzanti e complicati tecnicismi della fecondazione assistita. Ma per quanto possa fornire interessanti spunti di riflessione sui problemi economici, psicologici o anche solo meramente pratici legati alla sterilità di una coppia, Tutti i santi giorni non va fra-inteso come un film incentrato sull’impossibilità di mettere al mondo un figlio. Scansando i tranelli insiti nel dramma sociale, il regista di La prima cosa bella resta, infatti, centrato su Guido e Antonia, impegnati ad affrontare i momenti più duri della loro storia d’amore. In tempi cupi e ingenerosi come quelli in cui si tenta di restare a galla, dove accanto alla povertà materiale e alla precarietà lavorativa è sempre più evidente l’aridità morale, culturale e soprattutto affettiva presente all’interno della società, l’ancora di salvezza può essere allora un legame autentico, profondo, sincero, da vivere come una priorità in un contesto che, invece, pone ai primi posti l’apparenza, l’arrivismo, l’accumulo. Un legame che significa anche e soprattutto riconoscimento di una propria identità ben specifica e attestazione di un proprio posto nel mondo. Liberamente tratto da La generazione di Simone Lenzi, autore della sceneggiatura insieme allo stesso Virzì e a Francesco Bruni, Tutti i santi giorni è un film intimo e a tratti commovente, leggero ma non banale, impreziosito dalla spontaneità e dalla veridicità della caratterizzazione di Guido e Antonia, garantite dalla bravura interpretativa di Luca Marinelli (scoperto al cinema ne La solitudine dei numeri primi e L’ultimo terrestre) e della sorpresa Federica Victoria Caiozzo, in arte Thony, autrice anche della colonna sonora. La loro adesione, anche fisica, al ruolo e la loro alchimia fanno davvero la differenza. Di fronte alla vera o presunta accusa di provincialismo che ha travolto il cinema italiano dopo il verdetto della giuria all’ultimo festival di Venezia, c’è da dire che l’opera di Virzì, calata nel contesto italiano ma dall’afflato internazionale per l’universalità dei temi che tratta e per una scelta di ambientazione quanto mai coerente e ragionata, non sfigura affatto rispetto alle molteplici commedie indipendenti americane giunte, in questi anni, sui nostri schermi.

Titolo originale: Tutti i santi giorni; Regia: Paolo Virzì; Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Simone Lenzi; Fotografia: Vladan Radovic; Montaggio: Cecilia Zanuso; Scenografia: Alessandra Mura; Costumi: Maria Cristina La Parola; Musiche: Thony; Produzione: Motorino Amaranto, Rai Cinema, Monte dei Paschi di Siena; Distribuzione: 01 Distribution; Durata: 102 min.; Origine: Italia, 2012

 


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