L’arte è una bugia. Siamo tutti bugiardi almeno un po’. Underground è il frastornante viaggio di Emir Kusturica al centro della terra, nel cuore dei balcani, nel culo della Storia, dove il sole si riposa, dorme. Accompagnati dalla sgangherata banda di ottoni di Goran Bregovic i deliri di Kusturica si muovono come schegge impazzite in una delle più celebri mistificazioni della storia del cinema. Del tutto inutile raccontare gli intrighi della trama, impresa del resto impossibile come cercare di svuotare il Danubio con un cucchiaio. Tra documento e fiction si snodano infatti le esistenze di Petar detto il nero, Marko e Natalija, acrobatici funamboli sospesi su un mondo popolato da lunatici, nevrotici malati di mente, psicopatici, fanatici, imbroglioni, banditi, criminali, assassini.
Underground mostra le mille facce del potere, dalle immagini di repertorio al martoriato sottopelle dell’Europa postbellica, continente ustionato fin sotto l’epidermide, in cui la guerra è ben lontana dalla fine. Seguendo un tortuoso percorso che va dalle felliniane icone di uno zoo distrutto dalle bombe naziste ai funerali di Tito, da un festoso matrimonio tzigano ai cadaveri di Marko e Natalija che bruciano sotto lo sguardo di un cristo rovesciato, Kusturica mette in scena la Jugoslavia e, godardianamente, l’histoire du cinéma. Dolore, tristezza e gioia e lacrime che solcano facce dai mille sorrisi diluite da litri di venefici torcibudella. L’impressione è che l’onirico finale sia l’ennesima, apocalittica sbronza più che una conciliante concessione al positivismo. Un amaro happy ending all’ennesimo becero melodramma popolare che lascia in bocca l’acido sapore di un rigurgito soffocato.
Il precedente riferimento all’onirismo felliniano non è affatto casuale. Pier Paolo Pasolini descrisse argutamente il gusto decadente dell’ideologia stilistica del regista riminese de La dolce vita andando a ricercare similitudini varie ed eventuali tra i suoi compiacenti capricci descrittivi e l’ipertassi di Gadda, padrone più che prigioniero di un lessico pasticciato. Entrambi, secondo Pasolini, sono stati capaci di trasformare il rispetto o addirittura la mitizzazione dei rispettivi fondamentali, il razionalismo di Gadda da un lato e dall’altro il qualunquismo prettamente fascista di Fellini, attraverso l’anarchia della messa in scena. Così, parafrasando e strumentalizzando a nostro piacimento il poeta dei borgatari, scopriamo sotto il provincialismo cattolico italiano, sotto una borghesia viziata e superstiziosa, sotto gli scandali dei paparazzi e le miserie del sottoproletariato un marxismo dall’animo cattolico, una sacra forza di vivere nonostante tutto: non c’è un personaggio triste, che muova a compassione: a tutti tutto va bene, anche se va malissimo: vitale è ognuno nell’arrangiarsi a vivere, pur col suo carico di morte e di incoscienza. Non ho mai visto un film in cui tutti i personaggi siano così pieni di felicità di essere: anche e cose dolorose, le tragedie, si configurano come fenomeni carichi di vitalità, come spettacoli. Bisogna davvero possedere una miniera inesauribile d’amore, per arrivare a questo: magari anche d’amore sacrilego... il neo-decadente Fellini è colmo di tale amore indifferenziato e indifferente.
Agganciarsi a Kusturica è fin troppo facile e l’amarcord attraversa l’adriatico con passi da gigante. L’amore per la propria terra e le lacrime ancora calde alimentano l’ennesimo fuoco innescato dalla vampa del nitrato d’argento. Dalla guerra senza fine al film senza fine, il meta-cinema. Mentre assistiamo alla dissacrazione delle quinte teatrali, nel momento in cui il set ci viene mostrato nel suo status di fabbrica, lo spettacolo debordiano nel rivelare la propria ontologica falsità diviene lucida allegoria delle manipolazioni del potere. Il racconto si fa critica. Con dolore, con tristezza e con gioia ricorderemo la nostra terra quando racconteremo ai nostri figli storie che cominciano come le fiabe: c’era una volta un paese…
Titolo originale: Underground; Regia: Emir Kusturica; Sceneggiatura: Emir Kusturica; Fotografia: Vilko Filac; Montaggio: Branka Ceperac; Scenografia: Miljen Kreka Kljakovic; Costumi: Nebojsa Lipanovic; Musiche: Goran Bregovic; Produzione: CiBy 2000, Barrandov Studios, Komuna, Mediarex/ETIC, Novo Films, PTC, Pandora, Tchapline Films; Distribuzione: Cecchi Gori; Durata: 170 min.; Origine: Francia/Jugoslavia/Germania/Bulgaria/Ungheria/Repubblica Ceca, 1995
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