Il longevo matrimonio tra Tom e Gerry (eh sì…) è un’isola felice attorno alla quale gravitano tante solitudini. Geologo lui, psicologa lei, i due conducono una vita di coppia esemplare, scandita dal ritmo stagionale della coltivazione dell’orto e da tavolate occasionali: cene, pranzi, tè pomeridiani, barbecue e rinfreschi di veglia attorno a cui si radunano, volta per volta, i colleghi, i parenti e i vecchi amici. Per una strana legge di compensazione, quanto più i due anziani sposi sembrano genuinamente affiatati, tanto più chi si ritrova ospite a casa loro è alla perenne ricerca di un compagno, o soltanto di un po’ di compagnia.
Se si ripensa a Naked e agli spiriti borderline che lo popolavano, diventa facile affermare che le umane sorti cantate dal settantenne Mike Leigh si siano nel frattempo sedute, accomodate dentro accoglienti interni borghesi, molto meno “disperate” di quelle che ricordavamo. È un errore di prospettiva nel quale peraltro ci induce proprio l’intenzione del regista, che è abile nel collocare l’ottimismo dei simpatici coniugi sempre al centro del quadro, da bravi protagonisti, per poi regolarmente “disinquadrare” verso le condizioni decisamente meno invidiabili di chi gli sta intorno. Proprio come in Naked (film altrimenti diversissimo, per ambientazioni sociali e linguaggi trattati) sono sempre i soggetti “a margine”, gli abitanti “periferici” quelli che più di tutti interessano Leigh, il quale, formalmente, fa suo il punto di vista della coppia e poi, con un intelligente meccanismo di decadrage narrativo, relega i veri protagonisti a muoversi ai lati della storia, come di passaggio, comparsate sullo sfondo. Eppure bastano pochi minuti di pellicola perché il vecchio amico alcolista Ken, il taciturno zio Ronnie e l’irrequieto nipote Carl aprano degli abissi di dolore e disperazione che lo spettatore, incastrato dalla soggettiva di Gerry e Tom, potrà soltanto intuire.
Tra i vari ospiti e amici di famiglia, Mary è quella che rivendica la ribalta con più costanza. Seguiamo il suo caso lungo tutte le quattro stagioni che scandiscono il racconto, delineando due concezioni del tempo parallele ma profondamente diverse. Per Gerry e Tom ogni anno corrisponde ad un ciclo che parte con la primavera e finisce d’inverno, naturale come quelli che regolano i tempi di coltivazione del loro terreno: la rassicurante presenza del figlio Joe e di una promessa nuora, poi, garantiscono un senso di continuità, la certezza di un ciclo della vita che è destinato a ripetersi. Al contrario, Mary carica lo scorrere dei giorni di tutt’altro peso: la sua solitudine, unita all’ossessione di sembrare “più giovane” e appetibile agli uomini già avanti con l’età, trasforma il calendario in un crudele conto alla rovescia. Ecco allora che, dal suo punto di vista, la primavera corrisponde allo sbocciare della speranza di una relazione con Joe e l’autunno (i giorni in cui Joe presenta ufficialmente la sua nuova fidanzata ai suoi) al suo definitivo sfiorire.
Una discesa inesorabile, la sua, senza possibilità di risalita, che culmina nella bella scena finale, dove un cambio di inquadratura – reale, questa volta – la trova seduta dalla stessa parte del tavolo accanto al fratello di Tom, abbandonato dal figlio e vedovo di pochi giorni. Anche lui, dopo la morte della moglie aveva detto “non vedo l’ora che finisca”, per sentirsi ribattere, dallo stesso Tom, che in fondo doveva soltanto pazientare che quel “brutto momento” passasse il prima possibile. Ma per chi ha davanti a sè un’esistenza in solitaria come Ronnie e Mary, l’inverno non è soltanto una stagione: gli occhi con cui si guarda ad un “altro anno” dalle due parti opposte del tavolo diventano troppo distanti per potersi incrociare.
TITOLO ORIGINALE: Another Year; REGIA: Mike Leigh; SCENEGGIATURA: Mike Leigh; FOTOGRAFIA: Dick Pope; MONTAGGIO: Jon Gregory; MUSICA: Gary Yershon; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 2010; DURATA: 129 min.
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