8 Femmes. Il titolo francese di quest'ultimo film del giovane regista Ozon è emblematico, riassuntivo, illuminante: nella sua concisione, certo più azzeccato di quello italiano, che - alla stregua di logiche commerciali - introduce il riferimento a un mistero che non si rivela, comunque, il nucleo drammatico dell'opera.
Perché il vero asse portante della pellicola non è il fantomatico delitto perpetrato, all'esordio, ai danni dell'altrettanto oscuro papà Marcel, capofamiglia inesistente, presenza clandestina nella sua stessa casa, ectoplasma, inquadrato due sole volte, e sempre di spalle; il vero nodo drammaturgico, la visione epifanica, l'illuminante bellezza del film sono le donne.
8 Donne: otto straordinarie interpreti, fra le più prestigiose e conosciute attrici francesi, dalla più anziana Danielle Darrieux alle più giovani e promettenti Ludivine Sagnier (già vista in Gocce d'acqua su pietre roventi, 2001, sempre di Ozon) e Virginie Ledoyen, passando attraverso tre vere e proprie star della cinematografia d'oltralpe, Catherine Deneuve, Isabelle Huppert e Fanny Ardant.
Otto personaggi a tutto tondo, otto caratteri poliedrici, sfaccettati, umbratili, decisamente imprevedibili, anche un po' caricaturali, come è nello stile di François Ozon; e come si può riscontrare facilmente nel già citato Gocce d'acqua su pietre roventi, e - andando a ritroso - in Sotto la sabbia, 2000, e in Sitcom, 1998.
L'uso di una satira feroce per portare alla luce ed evidenziare i buchi neri e le infinite assurdità della società di oggi è noto ad Ozon: questa volta ad essere preso di mira dall'umorismo graffiante (ma anche dolente, a tratti) del regista è l'universo femminile, vera e propria camera oscura di segreti, doppiezze e contraddizioni, di fratture sentimentali ed esistenziali pressoché insanabili.
"Sognavo da tempo di girare un film con sole donne e pensavo a "Donne" di George Cukor […]. Ma poi ho scovato una pièce teatrale degli anni '60 scritta da Robert Thomas, esperto di commedie con mistero annesso".
Proprio partendo da qui, da questo vecchio testo teatrale, Ozon confeziona una elegante, raffinata, e in più di un momento esilarante commedia giallo/rosa, in grado di rievocare con maestria e un'abbondante dose di ironia amara sia le atmosfere della sophisticated comedy americana degli anni '30 e '40 (con quell'impostazione fortemente teatrale delle scene, il diluirsi dell'azione a favore della ricchezza dei dialoghi e l'inserimento nel testo di numeri musicali), sia quelle misteriosamente intriganti dei romanzi di Agatha Christie (l'antica dimora di campagna sepolta dalla neve dove agisce indisturbato un ignoto assassino).
La commistione di generi, il citazionismo colto costituiscono, dunque, la cifra stilistica di questo film, dove l'istinto farsesco, il divertissement compiaciuto del regista si manifestano nella caratterizzazione dei personaggi femminili (raffiguranti ciascuno un determinato archetipo, un ben preciso tipo di donna: dall'Ingenua, alla Nevrotica, alla Femme Fatale), come nella scelta di rivestire le attrici di abiti che - per foggia e stile - richiamano alla memoria immagini di grandi eroine cinematografiche del passato, divine come Rita Hayworth (cui fa il verso in una scena molto sensuale e malinconica Fanny Ardant), Lana Turner e Audrey Hepburn.
E se Ozon, che si dichiara scopertamente gay, forse non ama alla follia le donne (qui ne compone un ritratto non esente da una certa perfidia di fondo, anche se frammista a comprensione e complicità), senza dubbio ama ed omaggia le sue attrici; le accerchia, le vezzeggia, le coccola con la macchina da presa, le fissa con occhio adorante e impietoso nell'eternità dei primi piani, cristallizza il loro ricordo in una foto (quella di Romy Schneider), che passa di mano in mano.
E poi le costringe a mettersi a nudo, a svelarsi parzialmente davanti allo spettatore: cerca di tirar fuori da loro il meglio, perfino l'inusuale (sorprende vedere l'algida Catherine Deneuve che canta e balla).
Si ride molto, in questo film che profuma di pochade, sino alla pirotecnica conclusione: ma altrettanto spesso si piange, si riflette, ci si interroga sulla vacuità dei sentimenti, sui limiti dell'amore, sulla crisi del concetto borghese di famiglia, in una società dove i maschi sono assenti e le donne ridotte ad arroganti quanto fondamentalmente solitarie manipolatrici.
E' questo l'orizzonte estremo entro cui si proietta la storia di 8 Donne: come sottolinea malinconicamente Danielle Darrieux nel finale, recitando Il n'y a pas d'amour hereux, poesia di Louis Aragon su musica di Georges Brassens.
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