Ultimamente mi trovo sempre più spesso a domandarmi se ciò che vedo al cinema, quello che percepisco come immagini in movimento, corrisponda a quelle che sono le visioni dei critici affermati, che in un certo senso mi stimolano ulteriormente alla visione di film che vuoi per la trama, vuoi per certi aspetti percettivi o di sensazioni a pelle, finisco per guardare con il cuore gonfio di aspettative. Green Zone, di suo, si presenta come un intrigante punto di vista su una realtà nota ormai a tutti, ma inevitabilmente sopita e dimenticata, quella dell'assenza delle fantomatiche armi di distruzione di massa, mescolato al cinema d'azione di cui Greengrass è un rappresentante meno fracassone e, si potrebbe dire, più intellettuale di altri suoi colleghi, come dimostra la saga dell'agente segreto Bourne, risollevata a partire dal secondo episodio proprio grazie al suo intervento in cabina di regia.
Il film è tratto da un libro-inchiesta che non è un semplice romanzo, ma che con la stessa intensità narrativa di un romanzo riesce ad approfondire aspetti che il film non considera per ovvie esigenze di adattamento e di spunto narrativo. Per quanto mi riguarda, Greengrass, a parte Bloody Sunday, non mi ha mai esaltato con il suo stile frenetico di montaggio, dove i corpi colti alla loro massima velocità, per quanto futuristi possano sembrare, restituiscono piuttosto un'idea di caos e di confusione. Forse sono un fruitore un po' passatista nel concepire il montaggio cinematografico, per quanto non disdegni affatto l'azione al cinema, ma lo stile Greengrass non riesce proprio a coinvolgermi come vorrebbe e dovrebbe, tant'è che l'inseguimento finale, che ha una sua frenesia che ricorda inevitabilmente la sequenza del secondo episodio della saga di Bourne, alla lunga ha un che di beffardo e ridicolo nella sua conclusione, anche se a suo modo serve a suggellare quella che è l'idea di fondo del regista, ovvero che la democrazia non la si può imporre ed esportare come se fosse la Coca Cola.
Il discorso di fondo del film, infatti, è quello di uno scontro interno tra i rappresentanti della CIA e quelli del Governo degli Stati Uniti, entrambi impegnati nella ricerca di un generale dell'esercito iracheno, che per una fazione può essere un'utile fonte di informazioni e di aiuto per la rinascita del paese, per l'altra solo una scomoda pedina da eliminare. Da qui la caccia aperta per il militare interpretato da Matt Damon, che, seppur più umano, ricorda troppo da vicino il super agente Bourne, segno evidente della volontà dei produttori di sfruttare questi elementi ricognitivi per rendere più appetibile un film che dispiega verità certo scomode, seppur celate attraverso un cinema d'azione, e che potrà sicuramente soddisfare la critica e i palati in cerca di cinema frenetico, ma che al momento mi ha lasciato abbastanza freddo e, forse snobisticamente, distaccato.
TITOLO ORIGINALE: Green Zone; REGIA: Paul Greengrass; SCENEGGIATURA: Brian Helgeland; FOTOGRAFIA: Barry Ackroyd; MONTAGGIO: Christopher Rouse; MUSICA: John Powell; PRODUZIONE: Gran Bretagna/USA; ANNO: 2009; DURATA: 116 min.
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