The Hurt Locker PDF 
Gianmarco Zanrè   

“Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'accartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato”. Così cantava Montale, nel suo immortale Ossi di seppia. Kathryn Bigelow, supportata in questa sua ultima fatica cinematografica dal giornalista di frontiera Mark Boal, pare tradurre in immagini il senso più desolante e profondo di quegli stessi versi. The Hurt Locker, passato in concorso a Venezia raccogliendo consensi ma non premi, è un film che rispecchia lo stile teso ed adrenalinico della cineasta, ma che volge prepotentemente lo sguardo verso il ritratto dolente dell'umanità al fronte: non, come furono Full Metal Jacket e Jarhead, una satira sottile e violenta contro il vuoto della guerra come concetto, ma un impietoso ritratto del vuoto presente negli uomini che scelgono, ogni giorno, di combatterla. Coppola, nel suo capolavoro Apocalypse Now, definì la stessa sensazione come “orrore”. Nello scorrere delle immagini di The Hurt locker, invece, il presentimento è che la Bigelow e Boal abbiano voluto sottolineare la ricerca - scelta in linea con il percorso artistico della regista - di qualcosa, lo si definisca adrenalina o scoperta, coraggio o profonda stupidità, che possa sopperire all'incapacità di rapportarsi alla vita, scegliendo un inferno artificiale che allontani il pensiero di una casa, una famiglia, una “normalità” forse troppo pesante per essere tollerata.

“La guerra è una droga”, recita la frase che introduce alla visione della pellicola: ma cos'è mai una droga? La parola stessa è figlia di speculazioni, dibattiti, teorie e fughe. Quell'orrore coppoliano legato alla "linea d'ombra" che incombeva su Conrad quasi duecento anni fa è lo stesso che ora si traduce nell'insaziabile fame dello squalo a stelle e strisce e dei suoi figli mandati alla morte? Nessuno, probabilmente, può saperlo con certezza: ma nel confronto dell'amicizia virile che lega James e Sanborn, e nelle morti che costellano l'intera pellicola, come pallottole in una roulette russa ininterrotta, si leggono le angosce, i disagi e lo squallore di un mondo - o una parte di esso - che combatte non riuscendo a vivere, e che muta in deserto non tanto geograficamente, quanto nell'anima di chi lo percorre cercando giustificazioni e requie in una posticcia voglia di libertà. James, “eroe” senza macchia e senza paura, cacciatore di brivido e azione, cerca fra le viscere del cadavere di un bambino tramutato in corpo bomba le risposte che non trova all'idea di aver abbandonato un figlio che non si illude neanche di difendere combattendo una guerra non sua, e la coscienza di un possibile confronto allontana anche la speranza di una redenzione che passa attraverso il pallone di qualcuno che il deserto non può inghiottire, che sogna Beckham di nome e di fatto. Sanborn, di contro, percorre la strada portando il fardello del senso di colpa, cercando di proteggere i compagni per trovare la pace che ancora, da adulto, non ha raggiunto per la sua stessa vita: è lui il veicolo della speranza che gli autori suggeriscono, il desiderio di uscire dal deserto della coscienza e prendere le redini di una decisione che vada oltre il circolo vizioso che, come un turbine di vento e sabbia, non porta che altro sangue e altra morte.

Una risposta non è data al pubblico, ma del resto una risposta non c'è: intelligente la scelta di condizionare il meno possibile e giocare con l'adrenalina mascherando quanta verità sia nascosta in ogni singola esplosione. Cercando, oltre i concetti, di tirare le somme “pratiche” dell'opera, è possibile collocare The Hurt Locker nel delicato limbo che sta fra i film di genere e quelli di denuncia, in equilibrio fra l'indignazione di Redacted di De Palma e la pura azione di Black Hawk Down di Scott: allo stesso modo vibrano i protagonisti, e, probabilmente, la maggior parte parte degli occhi e dei cuori che con questa pellicola sono messi a confronto. La realizzazione metterà facilmente d'accordo, data la notevole perizia ed abilità alle quali la regista ha già comunque abituato, ma script e interpretazioni potranno, indipendentemente dalla politica, suscitare una reazione uguale e contraria in chi tenterà di cercare una chiave di lettura a questo film d'azione che meno d'azione non potrebbe essere. Nella sua imperfezione, così come nel suo non essere il film simbolo della regista, The Hurt Locker assume comunque i connotati della pellicola di svolta, scuotendo le opinioni ma non trovando riconoscimenti, irritando o esaltando, mostrando senza denunciare il deserto di coscienza che attanaglia il genere umano, soprattutto quando esso si mostra figlio degno di quel “male di vivere” già citato. E soprattutto, questa pellicola appare grande nel momento in cui si pensa proprio a quello stesso male, alla linea d'ombra dell'uomo: e se non fosse la guerra, da combattere, ma il malessere che ad essa spinge, che la nutre e la sostiene? Se non fosse il coraggio, quello sprezzo del pericolo che caratterizza uomini e donne che mettono le loro vite in gioco, ogni secondo, ogni giorno, ma al contrario la pazienza, la tenacia, la forza di crescere i propri figli? Se la guerra non fosse causa, ma effetto del deserto dell'umanità? Se il disinnescare il dolore, come suggerisce lo stesso titolo, non fosse legato alle bombe, alla morte, al sangue, ma alla vita? Se fosse la scelta di compiere un passo in avanti, quella capace di donare la risposta? Trent Reznor, anima dei Nine Inch Nails, e Johnny Cash, hanno cantato: I hurt myself today, to see if I still feel... What have I become, my sweetest friend, everyone I know goes away in the end, and you could have it all, my empire of dirt, I will let you down, I will make you hurt... If I could start again, a million miles away, I wil keep myself, I would find a way...

Ripartire dopo aver ferito se stessi, e i propri cari. Trovando una strada, la propria strada. Perché no, nel deserto. In fondo, da qualche parte, un'oasi ci potrebbe essere. Hurt, la canzone appena citata, parla di droga. La guerra è una droga. Provate, ad uscire dal deserto. Qualcuno ce la farà, prima o poi. “Il miglior modo per disinnescare una bomba è quello che non ti uccide.” L'idea è cercare di non uccidere nessun'altro.


TITOLO ORIGINALE: The Hurt Locker; REGIA: Kathryn Bigelow; SCENEGGIATURA: Mark Boal; FOTOGRAFIA: Barry Ackroyd; MONTAGGIO: Chris Innis, Bob Murawski; MUSICA: Marco Beltrami; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 131 min.

 


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