Enzo, siciliano emigrato a Genova, ha trascorso ventisette anni in galera e porta sul viso e sul corpo i segni del suo passato senza legge. Mary è una trans che ha vissuto la tossicodipendenza e l'emarginazione. Opera affascinante e inclassificabile, La bocca del lupo (il cui titolo è mutuato dal romanzo verista di Remigio Zena) racconta l'amore tenero e disperato tra due esseri umani diversissimi nella Genova dell'Angiporto e dei caruggi, un dedalo livido dove si incrociano esistenze marginali e deragliate alla ricerca di una via di salvezza o più semplicemente uno spiraglio di sopravvivenza. Conforta non poco che questa storia d'amore irregolare non sia stata giudicata scandalosa dai gesuiti della Fondazione San Marcellino, i quali hanno commissionato il film e lo hanno prodotto assieme a L'Avventurosa Film e a Indigo Film (quest'ultima già al fianco di Pietro Marcello nel 2007, con Il passaggio della linea).
Piazza del campo, vico Croce Bianca, via Prè e Sottoripa sono i luoghi di una Genova inedita e forse deliberatamente ignorata, oscura, sordida e inafferrabile ma allo stesso tempo ammaliante e densa di suggestioni. D'altra parte l'ambientazione genovese costituisce ben più di uno sfondo per la storia di Enzo e Mary: assieme ai due amanti Genova è la terza, regale protagonista del film. La storia della coppia si snoda infatti all'interno di una dimensione più ampia, in cui passato e presente si rincorrono di continuo, in un quadro magnificamente corroborato dalle immagini d'archivio selezionate dalla giovane montatrice Sara Fgaier. La scelta di utilizzare materiali filmici di natura diversa, lungi dall'avere un effetto disgregante, modella una commistione profondamente coerente e lirica: Genova è territorio sensibile, organismo brulicante di vita, trama immaginifica capace di (ri)suscitare una memoria geografica, storica e affettiva. Le immagini di repertorio, da quelle umbratili di inizio Novecento alle vignettature dei superotto amatoriali, si compenetrano magmaticamente con il presente, e la microstoria di Enzo e Mary si situa in un flusso di rimandi diacronici e poetici. Così le lettere d'amore registrate su nastro che i due amanti si inviavano quando Enzo era in prigione scorrono su una ricognizione iconografica dei luoghi scomparsi di una Genova lontana, controcanto ideale del degrado e dell'abbandono.
Se “solo il modo ondoso del mare segna il tempo”, come ci ricorda l'intenso incipit aprendosi sulle grotte di Quarto dei Mille, nucleo insieme materico e spirituale, La bocca del lupo invita a una riflessione sul tempo e la memoria, e sull'atto stesso del filmare, capace di dare materia al reale, di farlo resistere al tempo ma allo stesso tempo pericolosamente indotto a distorcerlo, manipolarlo, "finzionalizzarlo". Non è un caso se l'unico momento in cui Mary compare come presenza fisica e non solo come voce narrante la macchina da presa resta pudicamente immobile: quasi a rispettare la fragile autenticità delle loro storie vere, del loro dolore e del loro legame, estremo baluardo di pietas e di comprensione reciproca. Pacificati con il loro passato, Enzo e Mary adesso sognano di invecchiare insieme nella tranquillità di una casa in campagna. Su di loro Pietro Marcello getta uno sguardo malinconicamente nostalgico ma discreto e delicato, in grado di rievocare emozioni e ricordi senza traccia di sentimentalismo né retorica. Uno sguardo liberato, poetico e coraggioso.
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